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L'ansia e i fenomeni ansiosi La condizione dell'ansia si verifica assai spesso, ogni volta che siamo sotto pressione, ogni volta che dobbiamo fare qualcosa. La parte interessante non sta in quello che facciamo, ma nel fatto che "dobbiamo farla". Chi stabilisce il dovere? La parte che riguarda l'ansia si produce proprio su questo dettaglio: il dovere. Non sempre è possibile trovare alternative e ci si sente in dovere di compiere un'azione, una relazione, una performance. Dentro di noi non avremmo nessuna voglia di fare quella cosa, ma dobbiamo farla: dobbiamo ma non vogliamo. In questo stato d'animo, s'innesca il conflitto interiore tra una parte di noi che si sente oppressa dal "dovere" e l'altra che invece vorrebbe il benessere di poter scegliere, ma in quel momento non c'è scelta. L'ansia è sempre legata a uno stato di "performance", anche non reale ma solo pensato o proiettivo. Basta il pensiero di una cosa da fare che entriamo automaticamente in ansia. Pertanto, essa non ha a che fare con azioni concrete, persone o cose, ma con "evocazioni" del tutto interiori, personali e spesso confuse con riflessioni e pensieri vari. Ogni persona affronta il dovere a modo suo, quindi è facile osservare come uno stesso dovere venga percepito e risolto in modi diversi da diverse persone. Non è l'attività imposta che determina la fatica del dovere, ma la predisposizione emotiva a focalizzare in quell'attività il senso punitivo del "dovere fare". Se non vi fosse un'inconsapevole condizione di attrito emotivo, quella stessa attività sarebbe soddisfacente e non più opprimente. Come abbiamo visto, l'ansia è un conflitto che si genera tra il bisogno e il volere di una persona rispetto alla sua percezione del dovere. Possiamo raffigurare questo conflitto come un semaforo rosso in una strada trafficata, dove il senso e la funzione sociale del semaforo perturba e muta i comportamenti e le intenzioni degli automobilisti. Volontà, obiettivi e conflitto ansioso Nella concezione consueta, la volontà è la nostra determinazione e la capacità di fare/dire/prendere decisioni intorno a un argomento; gli obiettivi rappresentano la sintesi di quello stesso argomento. Ciò che ci interessa è comprendere come avviene che l'individuo focalizzi un obiettivo e ne identifichi le azioni da compiere. In una qualsiasi situazione, l'individuo ha centinaia di opzioni, alcune eticamente corrette, altre scorrette, alcune rapide, alcune lente, in un ventaglio di opportunità e di conseguenze tutt'altro che univoche. Quindi, l'individuo ha di fronte un panorama assai superiore alle proprie cognizioni; come accade che in quest'ampiezza l'individuo si focalizzi su una soluzione? Si compie una scelta. Questa scelta viene condizionata da pochissimi fattori, primo tra i quali la tipologia culturale del soggetto che, avendo un'ampiezza di vedute sempre personale, restringe di molto il ventaglio di opzioni. In questa personale percezione della realtà l'individuo, a seguito di una certa consapevolezza dei propri limiti, tende a sviluppare alcune focalizzazioni inerenti alla paura e, proprio in conseguenza di quest'ultima, egli condiziona in prima battuta il proprio orientamento nelle scelte. A somma di questo, si aggiunge l'idea di quale soddisfazione contenga il conseguimento dell'obiettivo stesso. Possiamo ora comprendere quanto sia effettivamente libera la scelta degli obiettivi e dei modi per conseguirli, dove abbiamo un pre-orientamento determinato dalla personale “culturalità”: abbiamo un limite imposto dalle nostre personali paure e la componente che sembra più libera, che è la soddisfazione, in realtà si basa su un'idea approssimativa basata sulla proiezione di un futuro possibile. In sintesi, abbiamo i due terzi di fattori fuori dal nostro controllo e un terzo che è una previsione con ampi margini di errore. Proprio per l'interazione di questi fattori avviene che l'individuo compie una scelta inconsapevolmente involontaria tra il valore della soddisfazione e la gestione delle proprie paure. Quasi sempre nel configurarsi del setting delle priorità, se ne sviluppa una nuova, dove, alla condizione prioritaria della soddisfazione viene a dominare la gestione della paura come nuovo assetto caratterizzante nel compiere le scelte. In questo quadro, vediamo come la paura, nei suoi contenuti di dovere e limite funzionale, diventa una componente importante che scavalca la soddisfazione del conseguimento dell'obiettivo, se non addirittura ne entra in antagonismo. Quando abbiamo questa opposizione, si genera un conflitto che diviene attivatore di una grande quantità di variazioni emotive e che noi riconosciamo come fenomeni ansiosi. In seno a questo dinamismo, l'individuo cerca di trovare delle mediazioni di varia natura, alcune di tipo pratico, altre di tipo intellettivo e a quest'ultime, che vivono nel mondo delle idee, appartiene la sfera ideologica. Da un punto di vista relazionale, l'ideologia è un'articolazione proiettiva con la funzionalità di indagare la rappresentazione della realtà e attraverso i vari scenari di identificare possibili soluzioni al conflitto ansioso. Paradossalmente, la generazione ideale dei vari scenari produce un'amplificazione della natura astratta della realtà, implementando l'attività proiettiva che porta l'individuo a considerare come reali cose che in realtà spesso non lo sono. L'aumento dei dinamismi proiettivi determina un aumento della sensazione conflittuale e, perciò, dell'ansia stessa. Insomma, l'ansia si autoalimenta. Ansia e performance Come sappiamo, l'ansia produce una grande quantità di comportamenti, reazioni fisiche e varie somatizzazioni. Come accade che questo conflitto sia così potente e così condizionante? La potenza e l'efficacia dell'ansia si basano sul livello di confusione tra la nostra identità e le rappresentazioni valoriali di “migliore” e “peggiore” (stereotipi). I comportamenti ansiosi sono conseguenze possibili della duplice combinazione delle categorie morali e della dimensione competitiva (meglio/peggio). L'individuo può sviluppare un comportamento di tipo ansioso se da un lato avverte di doversi comportare in “maniera adeguata” in una situazione che, in qualche modo, subisce e rifiuta, dall'altro valuta la sua performance secondo canoni comparativi, ossia, competitivi. I fenomeni di tipo ansioso si sviluppano, quindi, a partire da un'interazione basata sulla negatorietà; performance e comparazione vengono attivati nella sensazione del conflitto emozionale in atto. Il proprio valore è percepito a partire da modelli emotivi familiari e da modelli sociali performativi, legati alla scuola o al mondo del lavoro; raramente, infatti, la percezione di sé è slegata dal concetto stesso di valore, che per la sua natura quantitativa e qualitativa non può che essere compreso in una scala di meriti e demeriti. L'ansia, quindi, coadiuvata e strettamente legata prima al senso di inadeguatezza e poi a quello di colpa, si attiva per la paura di non essere in grado di collocarci a “un buon punto” della scala valoriale, con la convinzione che da questo dipenda la propria felicità (sentimento stereotipo). L'individuo identifica le cose da fare, ma deve deviare i propri obiettivi sulla base di ciò che egli pensa che la collettività ponga come limiti. Questi limiti assunti vengono percepiti come impedimento al conseguimento dello scopo prefissato e generano una forte frustrazione. È facile percepire dall'esterno lo stato ansioso come assurdo, ma l'individuo che vive questa condizione percepisce la reale impossibilità di produrre una mediazione tra la volontà e il dovere. In questa conflittualità, le sue componenti antagoniste si esasperano generando un vincolo tra di loro. Perciò, al crescere della sensazione di limite abbiamo un acuirsi della percezione del valore e della priorità dell'obiettivo da raggiungere. Sviluppo del dinamismo ansioso Di conseguenza, essendo queste dinamiche il risultato di uno sbilanciamento emozionale verso il negativo, esse si attueranno con un inconsapevole duplice livello di intenzionalità, secondo il quale apparentemente si sta cercando di “agire bene”, ma la percezione è contaminata dal conflitto e vengono percepite maggiormente tutte le forme valutative rispetto alla performance agita. L'individuo attua un'amplificazione degli aspetti valutativi, che lo portano a soffrire maggiormente il conflitto in atto. Aumentando la valutazione, l'individuo aumenta la conflittualità (ansia). Il conflitto ansioso, infatti, è un processo che aumenta nel tempo, con le note conseguenze, e genera nell'individuo un divario sempre più grande tra i suoi bisogni e le sue azioni. Il malessere di questa conflittualità, prima o poi, porta l'individuo a focalizzare e/o simbolizzare un proprio stato di vittima. Non dobbiamo dimenticare che il processo ansioso nasce intimamente in seno a una percezione di sé di tipo vittimistico. Possiamo affermare che il conflitto ansioso è una struttura articolata che nasce da uno stato emotivo di paura, si veste di proiezioni di sé come vittima e, in questa rappresentazione, si sviluppa la percezione di un conflitto tra il bisogno di benessere e l'oppressione di un dovere che viene drammatizzato, proprio perché rappresenta la negazione del benessere stesso. L'individuo, turbato dagli stati ansiosi, si trova a guidare la propria vita subordinato a questi conflitti proiettivi, in quanto questo dinamismo produce come suo corollario una notevole quantità di comportamenti conseguenti. Questo panorama sviluppa e consolida anche nel proprio entourage la percezione di sé come vittima sofferente. L'individuo ansioso, infatti, ricorre facilmente a forti drammatizzazioni, che l'entourage può accettare per compassione o rifiutare; in entrambi i casi, questi due atteggiamenti opposti confermano la percezione dell'individuo come vittima, o perché questo è stato confermato e condiviso dalla compassione altrui, o perché è stato negato e frustrato dall'incapacità di comprensione da parte dell'altro. Il dinamismo ansioso, con la sua grande carica di sofferenza, nel tempo porta l'individuo a cercare di interrompere questo conflitto; ciò avviene attraverso l'esasperazione del conflitto stesso fino a giungere a un punto di rottura. Questo cambiamento (spesso repentino) offre la sensazione di aver cambiato la situazione; non dobbiamo però farci tradire dalle apparenze, in quanto il soggetto ansioso sposterà, inconsapevolmente, la focalizzazione del conflitto in altri ambiti. Da questo quadro generale, si evidenzia che il carattere vittimistico sotterraneo è il vero motore attivo. Come esposto dettagliatamente nella trattazione del modello emotivo, ogni individuo ha una determinata matrice emozionale che ne caratterizza l'assetto e le posture nelle scelte. Il modello vittimistico si caratterizza per l'uso inconsapevolmente funzionale del depotenziamento come dinamica seduttiva; la drammaticità e la sofferenza del conflitto ansioso sorgono come conseguenza concreta di questo specifico assetto di modello. Pertanto, le attività e la percezione del soggetto ansioso apparentemente sono un problema da sconfiggere, ma sotterraneamente si sta operando per confermare la propria sconferma. In presenza di un modello emotivo improntato sulla paura e addestrato all'ansia, abbiamo una forte alterazione dell'attività proiettiva, che diviene il motore sotterraneo di una notevole catena di comportamenti. L'ansia è da collegarsi a diverse tipologie di patologie riconosciute, come instabilità dell'umore, alterazioni dell'aggressività, dipendenze, disturbi dell'alimentazione, dell'apprendimento e della relazionalità.
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