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. L'amore L'amore: emozione o sentimento? L'amore come stereotipo L'amore materno Questo complesso reticolo di valutazioni sui comportamenti viene a oggettivarsi attraverso la competenza, considerata reale sulla base di arbitrarie assunzioni scientifiche o simili e con il presupposto di un bene oggettivo, ma in realtà questi comportamenti contengono una dinamica fortemente competitiva e, di conseguenza, pesantemente negatoria nei confronti delle abilità della futura madre. Quest'ultima, sentendosi sotto una continua pressione giudicante, mette in dubbio la propria capacità di interagire (bassa autostima), perché l'oggettivazione dell'esperienza e le pressioni della propria madre risultano troppo pesanti, inconsapevoli e consolidate per essere contrastate. Ne consegue che la futura madre è implicitamente e automaticamente portata a reprimere qualsiasi forma di dissenso e/o individuazione diretta di sé come autonoma, in quanto a ogni tentativo in questa direzione corrisponde la colpevolizzazione e il rinnovo della negazione. Per quanto la futura madre riesca a sviluppare strumenti critici e razionali nei confronti dei propri genitori, comunque a livello emotivo percepirà un rifiuto che si configura come inadeguatezza personale. Questo dinamismo viene a verificarsi non solo in presenza dei genitori, ma, nel quotidiano, una volta introiettato, si manifesta come automatismo di quegli stessi atteggiamenti. In altre parole, la madre della futura madre è una voce interiore onnipresente che condiziona e limita l'evoluzione del modello emotivo individuale (gamma delle esperienze). La futura madre si trova quindi senza alternative percorribili praticamente e, per quanto sia frustrante, troverà più economico accettare di adeguarsi. Quanto fin qui descritto si viene a oggettivare ulteriormente nelle attività di confronto che vengono svolte tra donne/madri, in quanto determinati schemi relazionali e relative frustrazioni si riproducono per effetto delle attività proiettive individuali. Ogni donna, quando viene investita da confidenze e confronti, tenderà a esercitare un proprio ruolo materno, adottando atteggiamenti verbali e non verbali tratti dall'oggettivazione degli schemi della propria madre. Questo meccanismo universalizza e produce gli stereotipi, in quanto, nella marea di contenuti condivisi, alcuni di questi emergono rispetto agli altri. Ovviamente, gli stereotipi che nascono da una condivisione di assetti relazionali con forti deformazioni di modello emotivo legittimano e rendono “normale” anche gli stati di sofferenza e di pressione, dandone un connotato di ineluttabilità e di sacrificale positività. Riassumendo, possiamo affermare che le pressioni familiari assorbite fin dall'infanzia (lacune esperienziali del modello emotivo), nella fase adulta si ripresentano e si consolidano come stereotipi oggettivati e indiscutibili (tentativi di compensazione). Possiamo ora comprendere che la macroscopica definizione di amore materno si compone di un complesso relazionale strutturato sulla base di:
L'amore romantico Amore puro e incondizionato (stereotipo) Amore e sofferenza (stereotipo) Cenni socio-storici Questa condizione ha determinato quella complessa rete di comportamenti stereotipi (imitativi) e relativa collocazione valoriale. Mentre per i nobili le scelte e le trasgressioni nascevano coerentemente dalla loro condizione di potere e solitudine, per i ceti borghesi, privi delle suddette condizioni, l'adozione di quei comportamenti diveniva un modo formale per ostentare e rappresentare comunicativamente le proprie ambizioni. Nel quadro generale, il fenomeno di trasmissione imitativa della rappresentazione comunicativa delle ambizioni, nello spostarsi verso i ceti popolari, si svuotava ulteriormente della funzionalità autentica che aveva nei ceti nobili. Questo strutturarsi di complessi sistemi comportamentali stereotipati e rappresentativi e, contestualmente nella migrazione, questo spostarsi di ceto, ha provocato una forte amplificazione dell'attività critica/competitiva, definendo così un proporzionato aumento delle dinamiche della paura. Ogni persona, che agisce un comportamento stereotipo non collocato funzionalmente nei propri bisogni emotivi, si ritrova a confrontarsi continuamente con il proprio entourage (attività proiettiva), nella ricerca di conferme e di valutazioni (attività seduttiva). Tuttavia, l'entourage, composto da individui dello stesso ceto, non può fornire conferme e valutazioni conformi alle aspettative del soggetto. Ne risulta che l'incoerenza tra l'azione rappresentativa e il feedback aumenta la presenza della dinamica della paura, con la conseguente deviazione dell'attività proiettiva, sia in emissione di segnali e comportamenti, sia nell'interpretazione dei feedback. Oggi l'accresciuta complessità normativa/comportamentale, lo svuotamento funzionale degli stereotipi e l'enorme crescita delle dinamiche della paura hanno fortemente drammatizzato la condizione/l'obbligo di essere aderenti ai modelli culturali proposti. In passato, l'arrivo dei figli, lungi dall'essere programmato e drammatizzato come condizione della bravura dei genitori stessi, era un fenomeno naturale e, soprattutto, comportamentalmente previsto, al punto da essere autenticamente goduto. Esso era un evento con un unico filo conduttore nella motivazione della vita delle persone. In passato, nel passaggio generazionale non vi era una forte variazione nei modelli comportamentali; pertanto, tra le figure della nonna, della madre, della figlia e della nipote non sussistevano significativi divari culturali: non sussistevano le ragioni per un aumento delle dinamiche della competitività e della paura di sbagliare. Infatti, osservando le dinamiche famigliari nella storia, è facile notare che tutt'oggi viviamo ancora gli stessi precetti, ma, a differenza del passato, il cambio generazionale vive un'enorme variazione culturale globalizzata sotto l'enorme pressione mediatica. La rottura della continuità funzionale nella riproduzione del modello emotivo tra le generazioni aumenta i comportamenti competitivi (dinamiche della paura), incrementando il peso drammatico dell'adozione di ciascun stereotipo. In altre parole, fare figli non è più vissuto come un “evento” naturale, ma come un “dovere” naturale: nascono concetti come “orologio biologico”, “contraccezione”, “fecondazione assistita”, che esprimono e legittimano forme di pressione e di obbligo implicito intorno alla procreazione, dove l'orologio biologico trasmette lo scorrere ineluttabile e la paura di “perdere un treno” e le relative colpevolizzazioni; antiteticamente, la contraccezione implica che la procreazione significa una perdita della propria individualità, laddove nella fecondazione assistita questa individualità si basa proprio sull'obbligo di avere figli. In ogni caso, oggi, la relazione di coppia, la famiglia e la proceazione vengono vissuti drammaticamente come un problema a cui dare una soluzione (dinamiche eroiche e dinamiche sacrificali). Amore, identità ed esperienza I due sessi, maschile e femminile, crescono, di fatto, in un contesto di sviluppo esperienziale con forti limitazioni legate al proprio genere di appartenenza. I giovani non vengono incentivati dal proprio entourage alla reciproca conoscenza e diversità, anche se superficialmente vengono svolte molte attività che sembrano andare in questa direzione. Di fatto, però, i modelli culturali proposti hanno mantenuto un profondo tabù nelle aree dell'esperienzialità più intime e significative. È facile riscontrare che l'educazione sessuale viene svolta in maniera tecnica e asettica, denunciando così la difficoltà dei formatori nel trattare la vita amorosa delle persone in modo autentico per il suo peso e valore, dove la sessualità è solo apparentemente dominante. Addirittura, spesso, queste attività vengono svolte con l'intento di formulare sistemi di autocontrollo piuttosto che di consapevolezza. Analogamente, nell'area più strettamente familiare, i giovani trovano analoghe limitazioni formative legate al fatto che i genitori hanno difficoltà ad affrontare la realtà delle differenze. Tutto sommato, almeno in Italia, si preferisce l'omertà. I modelli educativi del mondo sentimentale spesso sono delegati alla cultura letteraria o, nell'ultimo secolo, a quella cinematografica, e si sono sviluppati nuovi stereotipi e nuovi modelli comportamentali. Negli anni Cinquanta nacque la “casalinga felice”, negli anni Sessanta la donna emancipata; successivamente, le ulteriori evoluzioni del modello di donna hanno generato tendenze sempre più sdoppiate e antitetiche, dove all'emancipazione si è contrapposto un tradizionale sentimentalismo. In altre parole, il progressivo distacco dal modello emotivo della donna tradizionale ha prodotto delle lacune esperienziali da colmare. Queste lacune riguardano forme complesse di comportamenti, dove il modello emotivo induce verso un pragmatismo relazionale elementare, mentre i nuovi orientamenti culturali spingono la persona a focalizzare scale valoriali diverse e nettamente in contrasto con la struttura e l'orientamento del modello emotivo originario. L'individuo, in questa incisiva e rapida mutazione dei valori e delle ambizioni, non è supportato da una consolidata struttura emotiva e, quindi, soffre per una frattura profonda. La donna contemporanea vive in pieno l'antitesi tra famiglia e lavoro e soffre per la difficoltà di integrare questi due ambiti. In ogni caso, quando una donna sceglie l'una o l'altra dimensione si sente inadeguata per l'esclusione attuata. Contestualmente, il panorama culturale promuove modelli sentimentali fortemente idealizzati e irreali, come per esempio quelli rappresentati nell'universo Disney, dagli stereotipi romantici delle favole alle più moderne competitività amorose. La formazione del giovane viene sezionata su una forte dicotomia tra la realtà relazionale e sentimentale che vede tutti i giorni e i modelli e stereotipi proposti dai media. Nella realtà quotidiana emergono i conflitti, che invece vengono attutiti o completamente esclusi dalle proposte mediatiche, definendo così l'assoluta preferibilità degli stereotipi mediatici alla realtà stessa. Questo drammatico meccanismo accentua nel giovane la paura e l'eccessiva moralizzazione su tutte le attività esperienziali che entrerebbero in contraddizione con la semplificazione, l'edulcorazione e l'idealizzazione proposta dallo stereotipo. La realtà tradisce le aspettative di una bambina che ha formato il proprio immaginario su una visione “sdolcinata” dell'amore e della relazionalità. Da adulta, quando affronterà gli aspetti relazionali e sentimentali che sono stati attentamente omessi, si troverà disorientata e focalizzerà su di sé una colpa di inefficienza. In sintesi, nell'area relazionale che definiamo amore, la scarsa presenza di esperienza determina un'enorme quantità di lacune e deformazioni: l'individuo, per affrontare e superare queste difficoltà, ricorre all'utilizzo degli stereotipi. La nostra cultura, specialmente letteraria, offre una vastissima gamma di modelli e stereotipi sull'amore, configurati attraverso la narrazione e la relativa “morale della favola”. L'individuo, inconsapevolmente, assume quest'ultima come orientamento didattico nell'approcciare le proprie relazioni sentimentali. Tuttavia, gli stereotipi che vengono concretamente assunti dall'individuo sono solo quelli selezionati per compensare le lacune prefigurate del proprio specifico modello emotivo individuale. Riassumendo schematicamente: la madre, con il proprio modello con scarsa esperienzialità nella relazione sentimentale, trasferisce alla figlia la lacuna e il relativo bisogno di compensazione. La figlia deve operare questa compensazione, ma, per effetto di una normativa limitante le esperienze amorose, non può espandere l'esperienzialità e compensare le suddette lacune. L'individuo ricorre quindi agli stereotipi perché questi offrono la maggiore garanzia sul risultato. Essi offrono un'ulteriore opportunità, sollevando l'individuo dalla responsabilità in merito alle proprie scelte, in quanto l'adozione di comportamenti oggettivamente riconosciuti come validi scagiona la persona dall'ipotesi di errore. Diviene quindi consuetudine l'idea di “dover” trovare il proprio partner, che sia “quello giusto”, al primo colpo, fidanzarsi, sposarsi e avere figli nell'obbligo interiore di non incontrare difficoltà, pena il sentirsi inadeguati e falliti. Amore sentimentale e amore materno Dinamiche competitive tra nonne, madri e figlie Questi dinamismi sono particolarmente noti nella tradizione stereotipa della “suocera”, dove vengono a svilupparsi forti conflitti e sofferenze, con la chiara percezione che “le cose non funzionano”, ma, contemporaneamente, non si sa come uscirne. Per comprendere più chiaramente questa concatenazione, dobbiamo richiamare lo stato cronologico delle relazioni in esame. Pertanto, la nonna trasferisce il proprio modello emotivo alla futura madre, la quale, a sua volta, lo trasferisce a sua figlia. Ciascun modello contiene la stessa matrice di schemi e comportamenti negatori, per cui l'affermazione e l'asserzione del proprio valore passa attraverso la dimostrazione dell'errore e dell'incapacità dell'altro (negatorietà), anche se questo viene rappresentato mentalmente come conseguimento delle soluzioni migliori. Nella realtà, dobbiamo comprendere che, nel preciso momento in cui una donna inizia la maternità, diviene focale di un pesante martellamento di precetti, regole, limiti e doveri da parte sia dell'entourage sia della collettività nel senso più stereotipo del termine. Queste pressioni, vissute inconsapevolmente, aumentano a dismisura il livello di paura della neo madre, la quale viene indotta a dismettere la percezione di sé come capace e abile. Innanzitutto, la neo madre diviene immediatamente la rappresentazione della soddisfazione dei propri genitori, che diventano nonni e, in questa nuova configurazione, si riattiva lo slancio motivazionale volto a dimostrare la loro qualità genitoriale in questo rinnovato ruolo. In questo panorama, i nonni non percepiscono la realtà relazionale con la figlia adulta, ma, nella presunzione di un'esperienza elevata, la neo madre viene negata nella tradizionale rappresentazione di figlia bisognosa di guida. La figlia, neo madre, dal suo punto di vista, non ha ancora un'esperienza sostanziale e cede facilmente all'ampiezza delle rappresentazioni assunte dai propri genitori, accettando e di fatto sostanziando la rappresentazione di sé come figlia anziché donna abile e capace. In questo preciso dinamismo, abbiamo il riaffermarsi del modello negatorio, a suo tempo trasferito, tra nonna e neo madre, quando quest'ultima era ancora bambina. Le pressioni vissute dalla neo madre riguardano gli stereotipi che vengono assunti nel tentativo di lenire le proprie paure e di confermare il proprio valore e le proprie abilità. Gli stereotipi riguardano, in generale, il fatto di essere una “brava madre”, il che implica una forte elevazione di atteggiamenti valutativi e morali rispetto a ogni aspetto della propria vita e di quella del bambino, poiché ogni possibile errore genera preventivamente grandi elevazioni della paura e viene quindi drammatizzato. Ogni inezia viene rappresentata come l'inizio di un'escalation tragica, con conseguenze inaccettabili. Riportiamo qui di seguito alcune riflessioni sui principali stereotipi: Qualità/quantità di alimentazione Qualità/quantità di salute Qualità/tipologia dell'ambiente domestico Qualità/quantità della presenza genitoriale I soggetti, anche in questo frangente, si snaturano nella presunzione di errore del proprio agire, in un meccanismo in cui l'autenticità dei bisogni della persona viene abbandonato e, al suo posto, emerge una complessa moltitudine di comportamenti finalizzati a ricevere feedback sulla propria qualità di genitori. Nello stesso ambito di stereotipi, rientra il concetto di quantità di tempo che il genitore passa con il figlio, definendo l'oggettivazione secondo cui la quantità risulta dominante rispetto alla qualità. Viene dato per scontato, erroneamente, che la quantità corrisponda alla qualità, quando invece il bambino non ha assolutamente bisogno di un genitore assoggettato ai suoi comportamenti, ma un genitore autonomo e operativo nel proprio dinamismo quotidiano. Il genitore che non passa più tempo possibile con i propri figli (soprattutto le madri) è implicitamente accusato di disinteresse e, in maniera del tutto automatica, a questo giudizio morale esterno viene ad associarsi un profondo senso di colpa. Anche in questo caso, il rapporto col bambino diventa forzato e non basato su una spinta spontanea e autentica di avvicinamento e di relazionalità. Il genitore si abitua a passare in secondo piano, così come anche la coppia stessa, in quanto l'essenziale è assolvere alla presunta correttezza del proprio comportamento con il bambino, dimenticando che il proprio benessere ed equilibrio sono gli unici fattori che realmente hanno un impatto sulla vita di quest'ultimo. Anche in quest'assunzione automatica di stereotipo la coppia produce una forte concatenazione di atteggiamenti negatori, che da un lato assolvono alla rappresentazione di sé come genitori di buona qualità, dall'altro però aumentano le dinamiche della paura in quanto viene attuata una negazione della propria individuale identità. Spesso si assiste all'esternazione diretta di questi sistemi, attraverso affermazioni e battute di spirito come ad esempio “se vuoi mio figlio te lo vendo”, oppure “avere dei figli è un bell'impegno” e simili, dove la persona esprime in modo mediato l'effettiva e spesso latente conflittualità tra i propri bisogni e l'effetto della loro negazione in funzione del bambino. E' facile osservare come in molte altre culture, anche non occidentali, l'avvento dei figli non sia associato a una drastica mutazione comportamentale e identitaria dei genitori. Qualità/varietà degli atteggiamenti educativi Lo stereotipo del padre assente La competizione nella coppia Da questa competizione escono due persone che, in un continuo “valutarsi” sulla quantità di sacrifici, si vedono vittime l'uno dell'altra, senza via di uscita, se non quella conflittuale. Il più delle volte le dinamiche competitive hanno origine in un panorama assolutamente positivo e privo di conflittualità; in quest'aura di energia costruttiva i soggetti proiettano l'immagine e il progetto di un futuro ben organizzato, pianificato, una sorta di ambiente perfetto, nel quale la rappresentazione elimina ogni paura di imprevisti. Ovviamente, il tempo fa il suo corso e il processo di riproduzione del proprio modello emotivo agisce un'evoluzione, cambiando spesso completamente il panorama. Ciò che all'inizio forniva risposte sicure e appropriate, nel tempo si dimostra parziale e insoddisfacente. Realizzare il progetto di una famiglia dapprima è fantastico; poi se ne scoprono i limiti, e, nel tempo, l'affaticamento da negazione produce il suo effetto. Quando in un panorama sentimentale affiorano delle fratture, ciascuno cerca di trovare nuove “nozioni” secondo le quali risolvere i vari problemi ricorrendo all'uso strumentale di materiale cognitivo. In questo atteggiamento, bisognoso di risposte, l'individuo impiega risorse per acquisire informazioni da diverse fonti. La persona inizia a interessarsi agli aspetti esistenziali, indagando e approfondendo, dalla filosofia alla poesia, dalla psicologia all'olistica, cercando risposte compatibili con il proprio modo di pensare. Questa compatibilità rappresenta una sorta di pre-selezione, con la quale l'individuo interpreta e colloca l'ordine dei problemi e pre-definisce il tipo di soluzione. Proprio per la sua natura precostituita, la ricerca andrà a confermare e consolidare l'ordine dei problemi che si vorrebbero risolvere. In altre parole, nell'ampissimo panorama delle soluzioni ai problemi che la collettività propone, l'individuo sceglie ciò che può comprendere, definendo una sorta di autoreferenzialità nella soluzione dei problemi. Il telaio portante dell'assetto autoreferenziale sta nell'assunzione di identificazioni stereotipe, sia del problema sia della soluzione. Nelle dinamiche competitive della coppia, gli stereotipi divengono strumenti di esercizio implicito di un potere e di un'autorevolezza, con cui si rinnovano dinamiche di competizione nel trovare le soluzioni. In questa competizione, l'individuo che propone una soluzione acquisita da fonte autorevole detiene un potere a cui l'altro deve assoggettarsi, perché la propria proposta di soluzione è sostenuta da un esperto, come, per esempio, guru, psicologo, psicanalista, medico, giornalista, filosofo, prete, amico, avvocato, insegnante di yoga, post sui social network, eccetera. Proprio per la loro natura di figure socialmente collocate, questi esperti divengono autorevoli in maniera orizzontale, a prescindere dalla loro effettiva esperienza, e, nella visione proiettiva del soggetto, vengono assunti come verità oggettive (stereotipi). Concludendo, abbiamo compreso che le dinamiche competitive di coppia, nel loro essere implicite e inconsapevoli, condizionano lo sviluppo della relazione, deformano la scala valoriale personale, invertono il senso morale e funzionale dei comportamenti e delle intenzioni sentimentali. La costruzione dell'identità nel maschile e nel femminile In altre parole, gli schemi emotivi della persona, interagendo con e condizionando il proprio entourage, consolidano la percezione proiettiva della realtà, oggettivando i bisogni e gli stereotipi assunti. In questo quadro, dobbiamo ricordare che il modello emotivo individuale è costituito sulla base di un sistema di valutazioni da parte dell'entourage; pertanto, privo di una sostanziale autonomia, esso obbligatoriamente manterrà lo sviluppo identitario assoggettato alla valutazione altrui. Fin dall'infanzia, a differenza della femmina, il maschio viene considerato e trattato in maniera differenziata; la madre non gli riserva quell'intimità e condivisione che, invece, vale per la femmina, determinando un'importante differenza nella mappa del modello emotivo. Questa differenza determina il diverso atteggiamento rispetto a ogni ambito tra i due generi e la diversificazione degli stereotipi focalizzati. Come è stato evidenziato da tempo, la sostanziale differenza nello sviluppo identitario tra maschile e femminile si definisce nel “fare” per il primo caso, e nel “sentire” per il secondo. Il maschio, quando agisce, si sente in pieno possesso di sé, mentre la femmina percepisce la propria pienezza quando “sente” coerentemente il proprio contesto. Nello sviluppo del modello emotivo del bambino, questo comporta un minore addestramento del proprio sentire e una maggiore focalizzazione verso il padre (presunto maschile), con il consolidamento del distacco dall'universo femminile. Questo primo differenziamento colloca come inadeguato il “sentire” come risposta alle esigenze e all'atteggiamento mascolino. Al contrario, la femmina, per la mantenuta intimità con la madre, non focalizza i bisogni di relazione associandoli all'azione, definendo i comportamenti seduttivi e il loro successo sulla base di “intesa”, “complicità” e condivisione del “sentire”. La struttura, fin qui schematicamente esposta, nella realtà si condisce di variabili, come il livello di mascolinità della madre e il livello di femminilità del padre, con le conseguenti inversioni della sensibilità, dello sviluppo delle abilità e del modello identitario e comportamentale del bambino. In altre parole, il maschile non coincide necessariamente con il padre e il femminile con la madre. Nell'ambito sentimentale, i risvolti di questo sistema differenziato sono enormi. Anzitutto, la lettura che i partner eseguono dei rispettivi comportamenti risulta fortemente diversa, con la donna che si aspetta comportamenti che la facciano “sentire”, mentre l'uomo si aspetta dalla compagna azioni che lo definiscano come uomo. In altre parole, possiamo comprendere come fatti fortemente simbolici come un rito, un luogo, un ricordo possano produrre nella donna forti sensazioni che consolidano il sentimento dell'amore, mentre nell'uomo questo tende a non avvenire. Al contrario, per l'uomo il consolidamento dell'amore si sviluppa sulla base di ciò che viene agito, azioni come la sessualità, la comunicazione esplicita e le rappresentazioni oggettive. Naturalmente, questo schema ci fa comprendere che, qualora il modello emotivo dei partner contenga distorsioni vittimistiche e conflittualità, le rispettive aspettative e i comportamenti produrranno una relazione sentimentale di stampo vittimistico o conflittuale. In altre parole, nelle distorsioni del modello emotivo, a titolo esplicativo, potremmo formulare la seguente sequenza di dominanti dell'assetto comportamentale:
Ciascuno dei partner agisce e interpreta il comportamento dell'altro secondo questi profondi filtri, determinando “quanta” incomunicabilità e/o incomprensione opprime il rapporto. Amore paterno: competizione e comparazione con quello materno La donna, sulla quale verte il peso/soddisfazione di realizzare una famiglia e fare figli, pone su questi ultimi il metro di misura valoriale della propria identità femminile. Pertanto, l'amore, la cura e gli atteggiamenti della madre contengono una spinta motivazionale estesa e oggettivata. Ne consegue che la dedizione è massima, e vengono giustificati pressoché tutti gli atteggiamenti materni. Differentemente, il maschio/padre non percepisce su di sé un equivalente valore assoluto, in quanto gli stereotipi comportamentali del “buon padre” non sono altrettanto sviluppati quanto quelli della madre. Per l'uomo domina il concetto di famiglia e casa come parte essenziale del proprio agire e realizzarsi, in quanto, dominando il “fare” sul “sentire”, la realizzazione della famiglia passa attraverso un quadro eminentemente operativo. Questo assetto basato sull'azione differenzia radicalmente anche l'atteggiamento e il tipo di presenza con i figli, i quali sono importanti come riproduzione del proprio modello di vita, ma, di fatto, soprattutto da bambini, restano di pertinenza e realizzazione della donna. Non è raro assistere all'esclusione partecipativa del padre nella prima infanzia, e a un suo importante reinserimento in età puberale e adolescenziale, dove invece la madre risulta avere meno esperienze applicative e comportamentali. In pratica, l'amore paterno può essere definito come un amore legato ad azioni funzionali, con un correlato di oggettivazione sociale che “guida” i figli verso l'esterno del nucleo famigliare. In altre parole, l'amore materno è smisurato e sempre positivo, mentre quello paterno è soggetto a valutazione, funzionalità ed errore. Per il padre, l'amore filiare viene parametrizzato sulla base emulativa dei comportamenti materni, dove, se agisce comportamenti simili e adeguati a quelli materni, viene riconosciuto come padre amorevole; diversamente, come trasgressivo, atipico, se non addirittura negativo. Ricordiamo che queste valutazioni vengono effettuate da donne/madri e molto raramente da altri uomini. Proprio in questo quadro fortemente valutativo, si sviluppano distorsioni del comportamento, nell'intenzione di evitare errori. È sempre più frequente assistere a padri che, nel dubbio di sbagliare, adottano interi agglomerati comportamentali materni. Inoltre, quando il rapporto tra i genitori ha una forte impostazione morale e valutativa, il padre sviluppa intolleranza per la propria possibile inadeguatezza e l'unica soluzione possibile è unificare i comportamenti. In questo panorama, nella coppia si amplifica il confronto, sviluppando dinamiche competitive e morali (negatorietà). Ciascun partner implicitamente e inconsapevolmente attua una trasformazione del proprio assetto, privilegiando le ragioni del “bene superiore” dei figli e della famiglia rispetto alla propria identità, abilità e soddisfazione. Questo mutamento nell'assetto valoriale di fatto nega l'identità di ciascun genitore e amplifica il rispettivo latente senso di colpa. Conseguenze della negatorietà competitiva tra genitori sulla relazione e sui figli
In altre parole, non ci si accorge che ci si trova di fronte a dinamiche manipolatorie, dove chi guida il comportamento è il figlio e non il genitore. Alcuni aspetti di questa inversione di ruoli sono bene illustrati anche nella dinamica vittima-carnefice. I genitori, in questo quadro dove sono sostanzialmente assoggettati ai figli, sviluppano dinamiche emozionali contrastanti, che, per effetto della loro presunta inefficacia educativa e comportamentale, vivono una percezione problematica del rapporto con e del figlio. Essi non riescono a definire né il problema né la soluzione, chi sbaglia e chi ha ragione, se il figlio ha o meno un problema. In questo caos, si sviluppano dinamiche conflittuali importanti, come, per esempio, comportamenti vittimistici da parte dei genitori, sensi di colpa intorno a presunti errori generali, conflitti espliciti e forti livelli di aggressività reciproci. La specificità delle combinazioni delle reazioni citate è strettamente legata al modello emotivo individuale di ciascun genitore, che definirà le tipologie di reazioni previste. L'incrementarsi delle dinamiche conflittuali, negatorie e sensi di colpa, determinano l'affaticamento delle relazioni e la crescita della sensazione di impotenza e, infine, il sorgere del rifiuto della relazione. Il rifiuto, nella relazione tra genitori e tra genitori e figli, si evidenzia nell'aumento significativo delle dinamiche negatorie. Prospetticamente nel tempo, questo meccanismo produce nei figli un intensificarsi dell'aggressività nei confronti dei genitori, che, assoggettati, non sono in grado di fornire comportamenti relazionalmente efficaci. I figli arrivano a sviluppare conflitti anche intensi verso i propri genitori e si percepiscono abbandonati. Parimenti, anche i genitori spesso si focalizzano come delusi e abbandonati, definendo intrinsecamente, per quanto inconsapevolmente, una competizione di stampo vittimistico. Come il figlio maschio viene educato dalla madre nel rapporto con la donna In questo quadro, dove la madre si pone verso il figlio maschio con una certa dose di riservatezza, avviene che il figlio vive e sviluppa una catena di comportamenti legati a due fattori:
Il dinamismo che si genera vincola fortemente i soggetti, in un continuo sistema di valutazioni implicite, che definisce il legame sentimentale, a prescindere dalla qualità. Questa concatenazione di atteggiamenti e comportamenti può assumere caratteri di tenero affetto o anche di forti conflittualità, a seconda di quanta negatorietà difensiva è presente nel modello emotivo della madre. La conflittualità si sviluppa come effetto della frustrazione che il figlio prova per la sensazione di esclusione e che riversa sulla madre, definendo anche la frustrazione di quest'ultima, che reagirà a sua volta conflittualmente. I due soggetti, in un panorama conflittuale, per effetto della difficoltà a comprendere la sorgente del disagio e del malessere, svilupperanno forti sensi di colpa e assoggettamenti reciproci per compensarli. I dinamismi fin qui descritti trovano seguito quando il figlio sviluppa una relazionalità sentimentale con un'altra donna (fidanzata). Nella relazionalità che si sviluppa, la fidanzata si trova immersa in un “palleggio” valutativo continuo tra il fidanzato e la madre. Quest'ultima tenderà ad assumere comportamenti valutativi, se non addirittura competitivi, come sistematicamente accade tra suocere e nuore. Come la madre educa la figlia al rapporto con l'uomo L'atteggiamento assunto dalla madre verso la figlia femmina sviluppa comportamenti di complicità. Contrariamente allo stereotipo standard di complicità che vede l'intesa come fenomeno positivo, nel rapporto con i figli essa rappresenta un comportamento seduttivo unilaterale (dalla madre verso la figlia) e la risposta comportamentale indotta nella figlia non si fonda come per gli adulti sull'indipendenza e la condivisione, bensì sulla condiscendenza di quest'ultima. Questo si traduce in un assetto manipolatorio da parte della madre, che, oltretutto, proietta sulla figlia l'idea di perfezione, come un proprio clone migliorato, negando e distorcendo il modello emotivo della figlia. L'identità esperienziale della figlia si sviluppa in un contesto limitato dalle aspettative e dai comportamenti della madre ed è condizionata da un pesante pressing valutativo. Ne segue che le capacità relazionali e l'autenticità comportamentale della figlia risultano fortemente distorte. È facile osservare come, nelle varie fasi di sviluppo dell'identità femminile, queste forme oppressive emergono attraverso periodi di crisi dove la ragazza non riesce a collocarsi e a definirsi. Su questa base si sviluppano anche le importanti dinamiche rappresentative della moda e del look. La ragazza che avvicina il mondo maschile impatta con l'ampia schiera di limiti e pressioni posti dalla madre e, sia nel caso che li assecondi, sia nel caso che vi si opponga, questi fattori producono uno specifico condizionamento. In altre parole, la ragazza porta dentro di sé le aspettative e le valutazioni materne, che determinano:
Questo insieme di condizioni, sia interiori della figlia, sia esteriori esercitate direttamente dalla madre, genera un eccesso valutativo rispetto al maschile, che si traduce nella difficoltà a identificare “l'uomo giusto”. Per questo meccanismo, la ragazza incontra una certa difficoltà a innamorarsi e sviluppa due possibili tendenze:
È da notare che l'azionamento e la produzione di questi schemi trascende la fase di età. Questi assetti vengono ad attivarsi ogni qualvolta la persona dovrà affrontare le rappresentazioni del modello emotivo e le attivazioni automatiche delle rappresentazioni/pressioni materne. Come il padre educa il figlio al rapporto con la donna Come il padre educa la figlia al rapporto con l'uomo Stereotipi della sessualità
Breve catalogo degli stereotipi relazionali maschili e femminili L'uomo galante Dall'innamoramento con gli stereotipi al non riconoscimento del partner una volta dismessi gli stereotipi e consolidata la relazione Questi processi, perlopiù inconsapevoli, nascono come diretta conseguenza del modello emotivo primario e il loro sviluppo è strutturato in parte come riproduzione del modello e in parte come tentativo/azione per compensarne le lacune (attività compensativa). Accade quindi che l'individuo agisce, più direttamente che in altri contesti, le proprie dinamiche emotive primarie, determinando l'emersione di precisi comportamenti, alcuni dei quali volti a riprodurre pedissequamente il proprio modello emotivo, altri invece caratterizzati come “inversione” di alcune aree dello stesso. Le aree dell'esperienza emozionale del modello che risultano inadeguate e/o irriproducibili vengono automaticamente compensate da una certa quantità di comportamenti aggiuntivi. In alcuni casi, questi comportamenti producono esperienza in grado di compensare, almeno in parte, le lacune del modello originario, ma spesso, purtroppo, si assiste invece allo strutturarsi di comportamenti che mimetizzano e tentano di nascondere le lacune stesse (fenomeno dell'inversione). Nelle dinamiche rappresentative mimetiche delle lacune del modello emozionale l'individuo sviluppa comportamenti che cercano di dimostrare la qualità, la positività e l'efficienza dove queste non ci sono. In altre parole, le paure profonde inducono la persona ad alterare i propri comportamenti in modo da non farsi scoprire. Quando accade questo, la persona agisce nascondendo parte della sua identità con una “maschera” che mostra un'immagine opposta alla lacuna che vuole nascondere. Questi nascondimenti (inconsapevoli) producono un'alterazione nella reciproca percezione dei partner, determinando una forte distorsione dell'attività proiettiva e uno sviluppo alterato e/o invertito della progettualità del rapporto amoroso. In altre parole, il partner che mostra un proprio lato positivo agisce nell'intento di dimostrare che non ha difficoltà intorno a quella specifica area; i suoi comportamenti nascono per effetto di una lacuna e generano una maschera. Potremmo inquadrare l'esperienzialità della persona secondo una triplice condizione, dove possiamo trovare:
Questo inquadramento vale per entrambi i partner e, a seconda di quale attivazione si genera in una catena comportamentale, avviene un reciproco condizionamento. Quando i due partner si relazionano entrambi in condizione 1 il flusso emozionale viene condiviso e l'esperienzialità, i sentimenti e le rispettive proiezioni si mantengono in uno stato realistico e funzionale. L'innamoramento si sviluppa e si approfondisce contingentemente senza conflittualità. Quando i due partner si relazionano entrambi in condizione 2 avviene che essi scoprono di non avere esperienzialità sufficiente in una determinata area e la modesta attività della paura aumenta significativamente i livelli dell'attenzione; l'attività proiettiva aumenta il proprio distacco dalla realtà, incentivando limitatamente la conflittualità. Quando i due partner si relazionano entrambi in condizione 3, la distorsione della percezione di sé e il già alto livello della paura e della conflittualità interiore producono una forte tendenza conflittuale nella relazione. In altre parole, ciascun partner soffre già inconsapevolmente di una difficoltà di accettarsi (conflittualità interiore) e trasferisce proiettivamente sull'altro la medesima difficoltà (conflittualità relazionale). Quando uno dei due partner si trova in condizione 1 e l'altro in condizione 2 avviene che l'individuo stabile accetta la limitata difficoltà dell'altro, permettendo a quest'ultimo di elaborare esperienze intorno alla sua lacuna. Tendono a generarsi lievi conflittualità, ma non raggiungono una drammatizzazione per entrambi. Quando uno dei due partner si trova in condizione 2 e l'altro in condizione 3 dominano le dinamiche della paura e il soggetto in condizione 3 impedisce all'altro qualsiasi forma di stabilizzazione, determinando un'ineluttabile tendenza conflittuale. La distorta immagine di sé del soggetto in condizione 3 innesca comportamenti distorti nell'interpretazione, determinando una forte reattività difensiva del soggetto in condizione 2. Quest'ultimo non è nelle condizioni di poter evolvere la propria esperienzialità: può solo continuare a difendersi e manterrà elevate le proprie dinamiche della paura. Quando uno dei due partner si trova in condizione 1 e l'altro in condizione 3 la relazione viene rifiutata, in quanto per il soggetto stabile le distorsioni del comportamento e dell'attività proiettiva dell'altro sono inaccettabili. Per il soggetto in condizione 3 il comportamento e le proiezioni del soggetto stabile non vengono percepite come manifestazione di equilibrio. Il soggetto in condizione 3 rifiuta inconsapevolmente la condizione di equilibrio. Possiamo ora comprendere che lo sviluppo dell'esperienzialità condivisa e i sentimenti che si sviluppano nella relazione sentimentale sono guidati dal proprio modello emotivo. Quello che viene agito nella fase dell'innamoramento è condizionato dalle lacune e dalle distorsioni che ciascuno ha e proietta. Ne risulta che più forti sono le lacune e le distorsioni, più importante risulterà la mutazione tra la fase dell'innamoramento e i comportamenti successivi. Non è raro assistere a cambiamenti radicali del comportamento e del modo di pensare nell'arco di pochi anni. Questi cambiamenti non vanno inquadrati come sintomo di un problema ma come l'emersione del reale modello emotivo della persona; cadono le maschere e la persona si mostra per quello che è, con la sua forza e la sua fragilità peculiari.
dove nella prima fase il partner mostra gli effetti compensativi di ciò che egli focalizza inconsapevolmente come lacune; poi, nel tempo, queste compensazioni si svuotano di valore in quanto lo sviluppo della relazione sentimentale ne fa cessare la necessità. Nei casi 3-3 e 2-3 gli individui faticano nel tempo a dismettere le dinamiche rappresentative e compensative, mantenendo attive e non elaborando le lacune esperienziali, incrementando e convivendo con forti dinamiche conflittuali.
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