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tabella dei modelli emotivi

diagramma relazionale a pettine

grafica modello emotivo

 

I bisogni reali e i bisogni proiettivi

In questi paragrafi, andiamo a trattare e a comprendere le strutture e gli equivoci di questo concetto così importante. Esso viene sistematicamente associato al concetto di soddisfazione, al punto che questo binomio è divenuto nel tempo incrocio e, nel contempo, focale di una moltitudine di fraintendimenti. Per comprendere chiaramente come e cosa guardare per collocare correttamente l'interpretazione dei bisogni di un individuo, dobbiamo innanzitutto dividere gli aspetti “sorgenti” e gli aspetti “progettuali” delle loro funzionalità. Escludendo in questa trattazione i bisogni fisiologici e primari, come dormire, mangiare, riprodursi e relativi corollari, dobbiamo ricordare che il modello emotivo ha un solo modo di svilupparsi: acquisizione, ripetizione ed esperienzialità. Gli aspetti sorgenti corrispondono ai bisogni reali, ossia quei bisogni che guidano realmente la condotta, le posture e l'esperienzialità relazionale dell'individuo: sono i bisogni di riprodurre il modello emotivo e di compensare le sue lacune; gli aspetti progettuali, invece, corrispondono ai bisogni proiettivi, che si strutturano conseguentemente all'effetto dei feedback ricevuti e confermano/sconfermano l'efficacia del proprio modello. L'individuo che, inconsapevolmente, riproduce linearmente il proprio modello emotivo, vive nel benessere, a prescindere dalle tipologie di sofferenza che egli affronta, poiché queste sono parte intrinseca del modello stesso. L'equilibrio emotivo della persona vive in un continuo scambio tra i propri comportamenti e i relativi feedback, in un flusso che continua a mantenersi in una condizione di bilanciamento. I feedback che l'individuo riceve danno indicazione dell'adeguatezza dei suoi comportamenti agiti.

Nel momento in cui l'individuo riceve dal proprio ambiente feedback che pongono come inefficiente una o più porzioni del proprio modello emotivo, si attiva la funzionalità automatica rivolta alla compensazione della presunta lacuna. Questa “presunta” lacuna determina un impiego di risorse atte a verificare e poi, eventualmente, ad agire la compensazione della presunta lacuna stessa. La compensazione consiste in un adeguamento dei propri comportamenti e dell'interpretazione del relativo corollario di valori. L'attività compensativa inizia quando l'individuo avverte una qualche alterazione emotiva intorno ad alcuni comportamenti (propri o altrui) e termina quando l'individuo ha vissuto un certo numero di variabili esperienziali e l'alterazione emotiva cessa di attivarsi. Comprendiamo che l'attività compensativa proviene dai bisogni primari sorgenti ma si colloca in quelli progettuali-proiettivi, in quanto si sviluppano e soddisfano in base a dinamiche relazionali proiettive tra persone. Le attività compensative (in quanto tali) appartengono a una condizione di modello elaborativamente completato; diversamente, nelle fasi di appropriazione del modello, fino al termine dell'adolescenza, l'individuo sta solamente agendo la propria integrazione. Quando il modello emotivo dell'individuo è già formato e adulto, le attività compensative rappresentano degli aggiustamenti evolutivi, ma non mutazioni radicali del modello stesso. Ricordiamo che l'attività proiettiva che si attiva nelle relazioni umane non rappresenta una condizione di anomalia, ma l'unica modalità possibile nell'interpretazione della realtà, con differenze specifiche nel livello di realismo.

Accade quindi che una lacuna di modello condiziona la vita reale della persona, definendo comportamenti e feedback che andranno ad attivare l'attività compensativa dell'individuo. L'attività compensativa si genera e si sviluppa in un sistema culturalmente definito; schemi comportamentali e stereotipi indicano alla persona le possibili strade da imboccare per attuare la compensazione. Proprio nella condizione culturale si insinua, purtroppo, una profonda ambiguità nell'identità individuale e in quella collettiva, dove troviamo un dislivello tra la soddisfazione interiore e la sua rappresentazione stereotipa spesso associata al successo di un comportamento. La soddisfazione interiore riguarda il completamento esperienziale, mentre la rappresentazione stereotipa riguarda il riconoscimento sociale/collettivo che si attua quando il valore delle azioni coinvolge la collettività. L'individuo sviluppa un bisogno sorgente interiore di compensazione; tuttavia, le dinamiche culturali, soprattutto quelle maggiormente strutturate, conducono a spostare l'orientamento dal bisogno sorgente a uno proiettivo. Il bisogno sorgente, per sua natura difficilmente identificabile, viene rifocalizzato in uno proiettivo del tipo “riconoscimento sociale” in quanto realtà oggettiva e collettivamente riconosciuta. Questo ri-orientamento che l'individuo attua, nella spinta del bisogno di lenire una sofferenza, viene inquadrato in un profilarsi di tipo morale, per cui vi è un discernimento positivo-negativo delle azioni, dei feedback e delle intenzioni correlate.

Questa interazione tra il bisogno proiettivo compensativo e l'oggettivazione culturale produce una simbolizzazione, definendo contesto, problema e soluzione. Come è facile intuire, l'individuo attua inconsapevolmente una simbolizzazione deviata e poco realistica della struttura della propria sofferenza. Ne risulta che l'attività compensativa concreta che viene a prodursi nasce in un profondo equivoco e, naturalmente, comporta il fallimento dell'attività compensativa stessa. In altre parole, i bisogni della persona si sdoppiano e si strutturano su due livelli: interiore e proiettivo, dove troviamo che l'interiore chiede adeguamento delle esperienze emotive (modello emotivo), mentre quello proiettivo si viene a strutturare simbolizzato culturalmente. In qualche modo, questi due livelli vengono a separarsi tra loro e, spesso, a entrare in conflitto di scopi ed effetti. Quindi, a sua volta, la compensazione si svilupperà su due livelli: quello sorgente, nell'adeguare le dinamiche emozionali nella riproduzione di modello, con l'integrazione emotiva attraverso esperienze vissute, e quello proiettivo, nel quale verrà focalizzata un'area di azioni culturalmente presunte funzionali, ma, purtroppo, non coerenti con il bisogno interiore di modello, se non addirittura contraddittorie rispetto alla compensazione richiesta.

[Vedi anche: moralecinetica e sviluppo del modello emotivo]

Concludendo, è necessario, anche per una possibile iniziativa terapeutica, portare a consapevolezza la distinzione tra il proprio bisogno sorgente di compensazione della lacuna di modello e i bisogni proiettivi che vengono focalizzati e che deviano lo sviluppo e il raggiungimento della compensazione stessa.

Nella terapia

Fondamentale nella terapia è far comprendere la differenza tra i bisogni proiettivi, legati appunto alla rappresentazione astratta e proiettiva di sé, e i bisogni che scaturiscono, invece, dalla soddisfazione reale dell'individuo. Una grande parte del lavoro sarà quindi concentrata sul far percepire i talenti e le passioni del paziente, non orientate però sulla consueta chiave proiettiva della performance e della seduttività della dimensione eroica, bensì sulle reali motivazioni e soddisfazioni inerenti al modello emotivo individuale. Si andrà quindi a sperimentare una serie di aree di attività non legate al presunto e drammatizzato complesso patologico; se si restasse vincolati all'esplicitazione verbale del soggetto dei propri problemi, tale sperimentazione e arricchimento sarebbe impossibile. Si resterebbe ancorati, in modo subordinato al paziente stesso, al processo di intellettualizzazione e drammatizzazione della patologia stessa, dove possono avvenire due fenomeni legati al transfert-controtransfert: il compiacimento narcisistico del terapeuta per l'esattezza della diagnosi e del suo decorso, e il bisogno di attenzione focalizzato vittimisticamente dal paziente sul proprio problema che intesse la dipendenza (patologica?) con il proprio terapeuta. Questo processo è simile a quello per cui alcuni figli attirano l'attenzione dei propri genitori solo mediante la manifestazione del proprio disagio e della propria sofferenza. Non approfondiremo in questa sede il legame tra la dipendenza da una qualsiasi fonte, relazionale o meno, e il motivo per cui certe terapie non giungono mai a una conclusione e a una separazione serene e mature. L'individuo, attraverso uno sviluppo esperienziale della sua relazionalità, nell'ottica di sperimentare le proprie reali abilità, senza la pressione della performance, de-focalizzerà spontaneamente la propria attenzione intorno al complesso patologico.

Attraverso l'integrazione di nuove esperienze, infatti, il paziente dismetterà la patologia perché essa non rappresenterà più la propria definizione e autovalutazione di sé, ma diverrà un aspetto secondario rispetto alla presa di coscienza della realtà della propria vita e delle proprie possibilità. È importante sottolineare il fatto che gli esercizi relazionali proposti dal terapeuta non sono attingibili da una griglia o da uno schema, poiché sono strettamente individuali; ogni paziente ha infatti delle aree lacunose e delle aree dove invece è possibile implementare la sua efficacia. Sarà il terapeuta a comprendere quali sono le aree da sviluppare, attraverso un'attenta analisi dei segnali metacomunicativi del paziente, integrando, al contempo, la visione stessa del paziente di sé come entità fisica oltre che cognitiva, mediante uno studio sul corpo, sul volto, sulla voce e sulle proprie cinetiche della fisicità. Ecco che la percezione di sé del paziente muterà, anche se non in modo cognitivo, bensì emotivo e relazionale. Insistiamo particolarmente sull'aspetto relazionale e metacomunicativo in quanto il paziente, quando si esprime verbalmente, non fa altro che rappresentare le proprie visioni proiettive, più o meno deviate rispetto alla realtà; esse hanno l'intento di conservazione delle dinamiche emotive del paziente stesso, e di conseguenza egli vuole convincere anche il terapeuta, indicandogli il posto “sbagliato” dove andare a guardare. Dobbiamo invece immaginare il terapeuta come una sorta di “radar”, che è in grado di scavalcare questo codice criptato inconsapevole del paziente, mediante l'analisi delle dinamiche seduttive e simboliche.

 

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