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La competitività

A differenza delle attività professionali, di mercato e sportive, la competitività, nelle relazioni umane, ha sempre uno scopo. Spesso non ci si rende conto quando e quanto frequentemente essa si attiva. La competizione, che tutti ritengono un fattore positivo e di crescita, personale e collettiva, in realtà contiene delle forti deviazioni, che, nei rapporti umani, causano non poche difficoltà. Nei momenti in cui la relazione diviene competitiva, si attivano dinamiche di tipo negatorio. Due soggetti che interagiscono competitivamente sviluppano automaticamente una posizione gerarchica, definendo chi sta sopra e chi sta sotto, chi vince e chi perde, chi ha ragione e chi ha torto. Da un lato, questo dinamismo si rappresenta come valido finchè l'analisi si limita alle sole condizioni concettuali e intellettuali; dall'altro lato, la competizione assume significati assai diversi, nella relazionalità dell'attenzione, del potere e dell'affettività. Ciò che nel competere comporta l'acquisizione di informazioni viene ritenuto positivo e se ne è oggettivato il valore. Questa oggettivazione decade nel momento in cui un individuo viene sottoposto a un dinamismo competitivo in una condizione impari. Questa disparità inconsapevole e/o ineluttabile diviene un meccanismo umiliante per il soggetto che subisce e scopre, suo malgrado, la propria inadeguatezza. Vi sono molti modi di condividere informazioni o di comunicare e la competitività è un modo articolato ma specifico. I comportamenti competitivi si caratterizzano per avere specifiche finalità e specifiche intenzioni.

L'individuo competitivo mira inconsapevolmente all'autoaffermazione, adottando le proprie performance per confermare e soddisfare questa condizione. Come già affrontato con il doppio livello dell'intenzionalità, dobbiamo considerare che “autoaffermazione” e “soddisfazione” non hanno un'accezione positiva, ma funzionale alla riproduzione del modello emotivo individuale, anche quando questo è volto a produrre la sconferma di sé e la propria frustrazione (modello conflittuale o modello vittimistico). Il comportamento competitivo muove dalla profonda “paura” di non essere all'altezza e, su questa potente spinta, si arricchisce di strutture funzionali come gli stereotipi, la cultura, la morale e complessi schemi comportamentali manipolatori. In altre parole, questi comportamenti utilizzano contemporaneamente ogni strumento a disposizione per definire e detenere un potere di superiorità. Se questa pratica, però, fosse efficace nel dare soddisfazione e compensazione alla paura di inadeguatezza, l'individuo andrebbe facilmente a dismettere questi comportamenti; purtroppo, ciò non accade. In realtà, il fenomeno competitivo, essendo mosso dalla paura, in questa stessa emozione si sviluppa e consolida. Come visto in diversi altri comportamenti, le dinamiche che scaturiscono per compensare gli effetti della paura producono situazioni e feedback che confermano, legittimano e consolidano lo stato emozionale di paura come dominante. Spesso si è attuato un equivoco culturale, per cui la competitività viene associata alla curiosità: nel confronto continuo con gli altri viene presunto che si realizzi una crescita reciproca, in una moltitudine di stimoli volti a spronare le proprie abilità.

Al contrario, la competitività è un dinamismo che, ponendo il confronto sulle misure del sapere e/o delle attività, viene attuato nella spinta profonda di ricerca del proprio valore. Al contrario, il sapere/l'attività agiti in seno a una passione guidata dalla curiosità evolutiva, non essendo strutturati sulla sensazione di inadeguatezza, non sviluppano comportamenti di confronto, e, spesso, le attività strutturate su tale base rimangono riservate. Un'altra differenza che caratterizza queste diverse posture rispetto al sapere/attività sta nel fatto che nella paura vengono utilizzati copiosamente gli stereotipi, mentre nella curiosità evolutiva l'individuo sviluppa le proprie capacità indipendentemente dagli stereotipi e dalle probabili aspettative sociali intorno a quel genere di abilità. Lo sviluppo dei sistemi relazionali basati sulla competitività assai spesso diviene un complesso di dinamiche seduttive, in quanto la persona, essendo guidata dal bisogno di compensare/riprodurre una data lacuna di modello emozionale, identifica nel feedback che ottiene dall'entourage la misura della propria abilità - anche quando questo conferma la propria inadeguatezza. In altre parole, l'individuo competitivo non si accorge dell'aspetto compensativo del proprio agire e, inconsapevolmente, riproduce proprio la sofferenza che cerca di compensare. Nella relazione competitiva, uno degli interlocutori assume il ruolo di inetto, di quello che ha sbagliato, di colui che non ci aveva pensato. Di per sé questo può non apparire come grave o drammatico, ma, di fatto, la competizione rappresenta un modo di affermare se stessi sul prossimo, negandone le abilità e il valore.

La pervasività dei dinamismi competitivi investe anche fenomeni che vengono riconosciuti socialmente come relazioni di aiuto positive, come offrire i propri consigli o aiuti. La differenza tra la postura competitiva negatoria e l'aiuto autentico sta nel fatto che nel primo caso chi riceve l'aiuto ne percepisce un'intenzione controversa, ossia, contemporaneamente, la soluzione e la dimostrazione dell'inadeguatezza, mentre nel secondo caso chi riceve l'aiuto ha la percezione di avere ottenuto una soluzione senza soffrire dell'evidenziazione della propria incapacità. Nell'ambito del modello culturale educativo, dobbiamo focalizzare che l'acquisizione delle inormazioni e delle abilità ha, come scopi, il produrre un'autosufficienza interpretativa della realtà e il generare un bagaglio esperienziale come fondamento della capacità di individuazione. In pratica, la sua capacità di indipendenza nelle relazioni interpersonali, la sua capacità di ponderare e scegliere, la sua capacità di ascoltare e apprendere. L'indipendenza, a livello di identità è la reale alternativa al confronto competitivo, poiché solo la completezza delle esperienze genera l'identita psicologica dell'individuo; al contrario, un'identità psicologica scarsamente sostenuta dalle esperienze infonde instabilità e bisogno di compensazioni di altra natura. Le esperienze astratte e indefinite non comportano assolutamente l'identificazione emotiva e psicologica della persona, che soffrirà di un forte bisogno di compensazione, che quindi utilizzerà preferenzialmente le dinamiche competitive come tentativo di sistema compensatorio. Le dinamiche relazionali competitive sono intrise di legittimazioni morali e, proprio per questo, tendono a non determinare una reale condizione esperienziale evolutiva; la paura mantiene la sua efficacia nel dominare pensieri e comportamenti, i feedback vengono condizionati nel confermare inadeguatezza e l'individuo è costretto a implementare la propria spinta competitiva.

 

 

 

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