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La depressione

Cominciamo a inquadrare la depressione come fenomeno nel quale la persona non riesce a identificare alcuna motivazione verso le relazioni e le soddisfazioni della vita. Escludendo i casi di specifiche lesioni cerebrali, la depressione attualmente è definita con grande nebulosità e ne vengono attribuiti generiche eziologie. In questa trattazione, andremo a fornire un quadro dinamico di come il disturbo depressivo si generi e definisca l'intero complesso comportamentale. Molto è stato scritto sulla depressione, ma pochissima attenzione è stata posta ai percorsi e alle dinamiche concrete che la generano. Come è ormai noto, le emozioni governano i pensieri e le azioni; questo è un dinamismo primario che è particolarmente importante nello sviluppo e nel mantenimento della percezione della propria identità e quando un individuo arriva a soffrire di depressione non è in grado di risalire alla sequenza di situazioni che l'hanno prodotta. La depressione, in quanto assenza di motivazione, di desiderio e di energia vitale, nasce e si configura in una progressiva e graduale inefficacia di funzionalità tra i comportamenti dettati dalle proprie dinamiche emozionali e la soddisfazione derivata dall'esito di tali comportamenti (feedback).

L'individuo, gradualmente, arriva a identificare come non valido il proprio modo di fare e di essere, e sviluppa una progressiva crescita delle dinamiche della paura, provocando un vero e proprio blocco inconsapevole della percezione delle proprie capacità. In altre parole, potremmo visualizzare sommariamente questo stato come un disorientamento nelle funzionalità e negli scopi dello sviluppo emotivo/esperienziale del proprio modello. Nel tempo, le spinte emozionali, con i derivati di pensieri e azioni, vengono a dimostrarsi genericamente insoddisfacenti e l'individuo percepisce crescere una sensazione di inabilità, di blocco, di inutilità, di frustrazione, che, in un arco di tempo variabile, gli fanno percepire come vuota ogni motivazione vitale. Quando una persona cresce in un addestramento culturale fondato sulla negatorietà si abituerà a identificare la propria inadeguatezza sopra e prima di ogni altra percezione di sé e delle proprie abilità. Pertanto, egli svilupperà un'enorme quantità di attività e comportamenti di tipo compensativo verso questa profonda e inconsapevole percezione (disistima di sé).

Fino a quando l'individuo riesce a mantenere un equilibrio tra la propria percezione di inadeguatezza e le rappresentazioni proiettive valorizzanti, egli vive ed opera con uno sbilanciamento emotivo contenuto. Questo gli permette di affermarsi, di ricevere feedback di riconoscimento sociale e di produrre una situazione in cui egli, attraverso le dinamiche della competitività, sostiene e conferma la propria identità. Come abbiamo già espresso, le dinamiche della competitività appartengono al quadro della negatorietà, in quanto producono l'affermazione di sé attraverso la sconferma altrui. Potremmo riassumere questa struttura di compensazione come un insieme di comportamenti mirati a negare la propria inadeguatezza. Nella sfera della depressione, assistiamo al generarsi di una catena di dinamiche negatorie tale da rendere inutile qualsiasi motivazione. Possiamo dire che un'educazione negatoria tende a produrre nella persona un'identità che soffre di inadeguatezza, la quale induce l'individuo a sviluppare comportamenti rivolti a superare l'inadeguatezza stessa attraverso dinamismi di performance ed eroici; come è noto, però, questi dinamismi tendono a fallire perché spinti da una reazione e non da un'autentica soddisfazione.

A questo punto, fallite le rappresentazioni performanti nel quadro affettivo, sentimentale e professionale, la persona verifica oggettivamente la propria inadeguatezza. Purtroppo, in questa condizione egli non ha altre aree in cui attivare una motivazione e, avendo focalizzato la mancanza di gratificazione emotiva del proprio agire, l'individuo si percepisce frustrato e incapace di reagire. Spesso nella depressione si alternano fasi di vittimismo e di rabbia, celate all'interno di comportamenti legittimi, come nel caso del bipolarismo e delle varie dipendenze.

Risulta implicito che l'efficacia di un sistema compensativo che nasce e vive sulla negazione non potrà produrre risultati non negatori, in quanto un'autentica spinta evolutiva non c'è perché sommersa dalla paura dell'inadeguatezza. La persona costruisce una buona parte della propria vita a sviluppare rappresentazioni che negano la propria inadeguatezza e, sia nel macrosistema sia nel microsistema della vita, le performance, le competizioni e gli obiettivi sono simboli eloquenti di quanto questo tentativo negatorio sia forte e radicato. Quando una persona opera immersa in questo stato non riesce a percepirne le misure, in quanto questi simboli, oltre a essere proiettivi, sono anche proiettivamente condivisi dalla collettività.

Questo equilibrio, come tutti gli equilibri, è delicato e non è eterno. Quando esso si rompe, l'individuo non troverà altri orientamenti della propria identità, poiché negli anni non l'ha sviluppata, ma l'ha conformata a sopravvivere in quell'equilibrio stesso. L'individuo che arriva al “capolinea” (depressione) delle rappresentazioni proiettive compensative della propria identità negatoria si trova senza terreno sotto i piedi e non sa come cadere. L'individuo che giunge alla depressione è formattato in modo da non trovare alternative, mai; egli è posturato in un rigore intellettuale e morale senza vie di uscita. Quando l'individuo struttura la propria vita nella competitività è estremamente flessibile; questo finché opera all'interno del binario previsto, mentre al di fuori di questo si troverà in grande difficoltà emotiva e comportamentale. Se a un individuo, che all'interno del proprio sistema negatorio agisce e si comporta in maniera di negare la propria inadeguatezza, gli si dimostra che egli non è inadeguato, egli non riuscirà a mutare i propri standard, non riuscirà ad accettare la dimostrazione, non sarà soddisfatto il suo bisogno di dimostrare di essere il migliore. In altre parole, egli negherà (come sua consuetudine) la validità della dimostrazione prodotta.

Tutto questo accade in un'area non cognitiva consapevole ma nella realtà fattuale comportamentale, dove a parole egli accetta la dimostrazione, ma nei fatti continuerà a comportarsi come prima. Infatti, i comportamenti continuano a generare comunicazione e questa produrrà percezione e proiezioni che tendono a legittimare se stesse. Quando la persona inizia a non riuscire a generare proiezioni valide a sostegno del modello emotivo in atto inizia una crisi. Dapprima l'entità della crisi è lieve; in questa fase si percepisce facilmente una vaga tendenza trasgressiva e un entusiasmo competitivo nell'esasperare rappresentazioni di sé originali, insolite e creative (queste rappresentazioni mantengono il loro carattere performante).

Via via che cresce la difficoltà a soddisfare i bisogni profondi del proprio modello, l'individuo aumenta notevolmente il divario tra la realtà e le proprie proiezioni, identificando nel valore (simbolo) delle attività che egli svolge drammatizzazioni di importanza sempre superiori. Questa escalation di sopravvalutazione della performance rappresentativa e proiettiva troverà un limite naturale, che, una volta raggiunto, si configurerà come un binario morto. Ora è importante comprendere come l'impotenza sia data dal fatto che la persona ha usato tutte le sue energie e le sue doti per dare il massimo di sé, nel migliore dei modi, realizzando cose straordinarie, divenendo un modello di successo, per quanto magari umile e sacrificale. Questa enorme e a volte decennale performance, però, non lo ha perdonato ed egli si sente ancora non adeguato, si sente ancora non accettato.

Cosa può fare? La rabbia sopravviene per la grande ingiustizia (incomprensione e moralità) che egli percepisce ma di cui non può accusare nessuno. La rabbia risulta repressa e devasta dall'interno l'individuo, decretando il blocco delle sue motivazioni, incanalando le sue emozioni verso la ricerca di un colpevole, sovradimensionando i comportamenti di paura di cui la stasi ne è l'evidente dimostrazione e generando perciò simboli che rappresentano questo agglomerato avvinghiato su se stesso. Questi simboli spesso sono portatori di un profondo senso di colpa rispetto alla propria inadeguatezza dimostrata e colpevolizzata da una performance fallita.

Ciò che si vede dall'esterno è un individuo che ha perso l'interesse per tutto e, che abbia episodi aggressivi o meno, i suoi comportamenti e le sue proiezioni ruotano attorno a questo fulcro: il bisogno di orientamento per ristabilire il senso delle proprie attività. Ovviamente, questo riorientamento non è possibile, in quanto questo fulcro è arrivato al suo fallimento. Allora cosa si può fare? La risposta sta nel comprendere, nell'effettiva realtà dei dinamismi emotivi, la differenza tra la realtà e le sue proiezioni dove, più forte è il divario, più probabile è il sopraggiungere di difficoltà e disorientamenti depressivi. La rieducazione da attuare davanti a un disorientamento riconosciuto è di tipo emotivo; perciò, si tratta di ristrutturare quel fenomeno di associazione tra emozioni, comportamenti e feedback. Infine, dobbiamo ricordare che le varie manifestazioni di somatizzazioni fisiche intervengono in questo processo sia come concause all'origine sia come conseguenze.

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