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Il doppio livello dell'intenzionalità nei dinamismi difensivi e negatori

L'intenzione è la predeterminazione dello scopo di una catena di comportamenti. Ogni persona agisce in continuazione in un quadro costantemente guidato da intenzioni. L'insieme delle intenzioni di ogni piccola azione costituisce l'intenzionalità. La capacità della mente è straordinariamente ampia e, infatti, spesso formuliamo pensieri, parole e azioni con intenti multipli. Questa molteplice dinamica delle intenzioni è facilmente rilevabile nelle attività come, per esempio, ironia, sarcasmo, comicità, dove risulta palese che: un comportamento implica e comunica contenuti opposti o paradossali, esprimendo contemporaneamente i due lati di una stessa medaglia. Nella realtà relazionale, questo doppio livello di comunicazione è sempre presente, anche quando non ce ne accorgiamo. Nei rapporti umani, possiamo distinguere la comunicazione esplicita verbale e quella implicita non verbale; in questa duplice espressività si esprime anche una duplice intenzionalità. Come è noto, nel flusso comunicativo possiamo individuare due posizioni che si alternano tra di loro, ossia il mittente e il ricevente. Questi due ruoli definiscono una grande quantità di comportamenti, che spaziano dai più aggressivi ai più difensivi. Ovviamente, la posizione che in un dialogo assume il mittente determina la posizione del destinatario, che, per forza di cose, risulta subordinata/condizionata. Pertanto, se, per esempio, il mittente accusa, il destinatario dovrà difendersi; oppure, se il mittente condivide un'informazione, il destinatario non può non riceverla.

Possiamo definire la postura relazionale dei due interlocutori come attiva e passiva. In questo panorama, dobbiamo ricordare che ogni persona agisce in funzione del proprio assetto emotivo, che determina i dinamismi proiettivi e, quindi, la percezione della comunicazione. Ne risulta che l'aspetto delle intenzioni in una comunicazione si arricchisce di un particolare senso in quanto, se da un lato l'intenzione esplicita persegue un tipo di obiettivo, quella implicita spesso ne persegue un altro. L'aspetto proiettivo anzitutto guida la parte implicita non verbale delle intenzioni comunicative, per poi arrivare a influenzare la parte esplicita verbale della comunicazione. Come già espresso, nella sezione sulle emozioni e sulle proiezioni, abbiamo una sequenza gerarchica e funzionale in base alla quale il modello emotivo condiziona la relazionalità nella comunicazione. Se nella comunicazione esplicita è facile comprendere le intenzioni palesi, non è altrettanto elementare capire l'orientamento delle intenzioni inconsapevoli, che si esprimono nel quadro della comunicazione non verbale, la quale si estende dalle espressività gestuali ai segnali somatici della fisicità. La persona che si accinge a comunicare pone inconsapevolmente su una scala di valori la propria posizione e quella del ricevente, definendo l'effetto finale della propria personale attività proiettiva. Se il mittente percepisce se stesso in una posizione di superiorità rispetto al ricevente, il suo assetto emotivo vedrà una minore influenza dell'emozione primaria della paura e, pertanto, una maggiore efficacia nel comunicato. Se, al contrario, il mittente percepisce se stesso in una posizione di inferiorità rispetto al ricevente, il suo assetto emotivo vedrà una maggiore influenza dell'emozione primaria della paura e, pertanto, una particolare modalità nel comunicato. In questo schema, per “percezione di se stesso” intendiamo l'autentica dinamica emozionale, spesso inconsapevole, e non la sua rappresentazione cognitiva e superficiale.

A seguito dei dinamismi che abbiamo appena menzionato, comprendiamo che l'intenzionalità implicita risulta dominante rispetto a quella esplicita e consapevole, se non addirittura, spesso, determinante. Partendo dal presupposto inconfutabile che la persona si esprime sempre con almeno un'intenzionalità, andiamo a comprendere come essa sia eminentemente inconsapevole. Questo assunto si basa sul fatto che il volume maggiore della comunicazione e degli stimoli relazionali trascendono la comunicazione diretta e consapevole, per esprimersi su piani spesso indiretti e a prescindere dal destinatario. A un'osservazione più attenta dei dinamismi percettivi che determinano la comunicazione, possiamo notare che esercitano una notevole influenza anche fenomeni come il look, l'appartenenza, la fisicità, la diversità, che condizionano a priori una specifica e personale reazione emotiva preventiva rispetto all'atto comunicativo. L'attività percettiva, quindi, modula preventivamente le proiezioni, le quali determinano l'intenzionalità inconsapevole che verrà espressa. La persona, come è noto, inizia a definire una postura emozionale sempre in maniera preventiva (esclusa l'incidentalità), che, nel momento concreto e reale dell'attivazione comunicativa, ha già fatto il suo corso e definito i termini delle intenzioni, sia quella implicita e metacomunicativa sia quella esplicita e consapevole. In altre parole, l'individuo tende sempre a prefigurarsi nella situazione che sta affrontando e, per effetto delle proprie esperienze, è in grado di collocarsi valorialmente come superiore o inferiore rispetto agli interlocutori. L'individuale posizione preconcetta contiene lo specifico assetto dell'equilibrio emozionale, con cui si struttura l'intenzionalità della comunicazione.

La collettività, con le sue regole e stereotipi, orienta la percezione di sé in un quadro morale e di confronto attraverso il quale l'individuo cerca di adeguarsi, riscattarsi, posizionarsi e valorizzarsi: in una parola, definirsi. In questa necessità di posizionamento, l'individuo non si accorge che il dinamismo del confronto eleva la sua condizione primaria di paura: egli teme preventivamente che la propria azione/comunicazione possa essere inadeguata. Si alimenta quindi un dinamismo circolare, dove la paura di sbagliare amplifica l'attività percettiva nel bisogno di conferme/confronti. Questo processo, che eleva la paura e sbilancia l'individuo, guida lo sviluppo delle intenzionalità comunicative, generando un divario tra l'intenzione implicita/inconsapevole, che mira a esprimere direttamente lo stato d'animo, e quella esplicita/consapevole che è orientata a compensare/schermare lo sbilanciamento emozionale. Ogni persona che avverte anche la più lieve difficoltà si orienta automaticamente a cercare di superarla, generando il meccanismo appena descritto. Questo dinamismo esplica il fenomeno per cui siamo convinti di comunicare una determinata cosa, e, invece, stiamo comunicando inconsapevolmente dell'altro, o, addirittura, il contrario di quello che pensiamo di comunicare esplicitamente. Dobbiamo ricordare, a questo punto, che il motore che altera e deforma la postura emotiva e le proiezioni è la negatorietà. Essa è l'esito di un addestramento nello sviluppo del modello emotivo, ed è la modalità comunicativa relazionale ogni qualvolta che si produce uno sbilanciamento emozionale. La funzione pratica e dinamica della postura negatoria è la semplice difesa: l'individuo, influenzato dalla paura, entra comunque in uno stato difensivo (anche dinamiche dell'aggressività). Il fatto che la negatorietà si costituisca come difesa produce una collocazione morale del comportamento, in un quadro di legittimazione, in quanto si genera l'associazione sequenziale paura-difesa-vittima-ingiustizia-bisogno di riscatto. Per questo processo che moralizza un dinamismo emotivo proiettivo, l'individuo confonde l'origine (la paura legata al modello emotivo) con la conseguenza (l'ingiustizia e il riscatto). Comprendiamo quindi che, quando l'individuo è condizionato dalla paura, il duplice livello di intenzionalità tende a diventare contraddittorio. L'individuo esteriormente si esprime per mostrare il proprio valore e, contemporaneamente, la comunicazione non verbale veicola e comunica la propria inadeguatezza.

È interessante notare che il fenomeno della negatorietà, nella sua raffigurazione consapevole ed esteriore, spesso si traveste in forme che apparentemente sembrerebbero positive, come il paternalismo, il “fare il bene dell'altro”, l'aiuto, l'eroismo, la missione, dove, esplicitamente si dichiara di voler fare del bene e di aiutare, ma, inconsapevolmente, in realtà si attua la presunzione di inefficienza “dell'altro” individuo, che risulta inadeguato e bisognoso di aiuto, tramite un pre-giudizio.

 

 

 
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