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Non-Psicologica
 


L' esperienza e la la ripetizione delle esperienze

Anzitutto, definiamo in che senso utilizziamo il termine “esperienza”. Essa va compresa come un insieme di porzioni di fatti e azioni connessi a specifici stati emotivi. Nella nostra mente, come nella trattazione sulla memoria, le informazioni riguardo le esperienze non vengono memorizzate nella precisa e dettagliata sequenza in cui avvengono, ma in una rappresentazione sintetica basata su un accoppiamento tra azione significativa e relativo stato emotivo (simbolo e relativa evocazione emozionale). Nell'esperienza psicologica, dobbiamo comprendere che la parte emozionale, storicamente sottovalutata, risulta determinante nello sviluppo della capacità di comprensione delle azioni: esperienza significa sintesi di azioni ed emozioni. Possiamo quindi distinguere due aspetti dell'esperienza.

L'esperienza istantanea

Essa è il vissuto di una catena di azioni/eventi a cui la nostra mente associa un determinato stato emozionale. Questa attività, non essendo ancora stata codificata in un tipo di esperienzialità già estesa, nell'individuo si lega in modo univoco alle azioni/eventi, definendo un primo contenuto esperienziale che verrà memorizzato. Questo contenuto è il frutto dell'elevata attenzione, più o meno drammatica, rispetto a ogni prima esperienza. Esso, se non verrà espanso in ulteriori esperienze collegate, rimarrà memorizzato ma non collocabile come esperienza funzionale elaborabile. Caratteristica specifica dell'esperienza istantanea è il limite temporale, con attività emotiva univoca e limitata in un breve lasso di tempo, di azioni e di correlato stato emotivo. Il senso di questo nucleo di esperienza, non direttamente utilizzabile dalla nostra mente, è paragonabile a una “raccolta dati” non ancora estesa e strutturata in risposte valide e comportamenti validi. Un'informazione parziale non offre ancora all'individuo un quadro completo in grado di dargli delle scelte di azione, un criterio morale di valutazione o un'esperienzialità emozionalmente completa. Ogni singolo nucleo esperienziale diviene però la materia su cui si fonda la capacità interattiva conseguente. Il vissuto emotivo che viene associato al primo nucleo esperienziale, indurrà la reiterazione dell'esperienza stessa o di esperienze analoghe, con lo scopo di completare la “raccolta dati” intorno a un fatto avvenuto. Solamente un certo numero di esperienze analoghe genera un sistema di esperienza elaborabile.

L'esperienza elaborata

Essa è l'acquisizione di un certo numero di esperienze istantanee con relative variabili emozionali. La somma di una certa quantità di esperienze istantanee rappresenta un panorama relativamente stabile su cui l'individuo può fare affidamento nello scegliere come comportarsi. Nel concetto di stabilità, dobbiamo notare che, paradossalmente, anche la situazione più drammatica e/o sofferente rappresenta qualcosa di non ignoto, in cui l'individuo sa per certo cosa aspettarsi. L'esperienzialità, composta da una serie di nuclei esperienziali istantanei, diventa un bagaglio che consolida una memoria emozionale, di cui usare la concretezza nel percepire se stessi e la propria identità. Cosa significa elaborare un'esperienza? Un insieme di esperienze istantanee diventa un nucleo stabile di esperienza elaborata quando sono state sondate tutte le variabili emotive e fattuali, e quando rispetto a queste si è sviluppata una capacità di previsione e reazione. Quando ciò avviene, l'individuo dismette l'attivazione emotiva rispetto al nucleo di esperienze e la sua capacità di azione intorno a quell'area dell'esperienza è relativamente stabile e serena. Elaborare un'esperienza significa quindi averla acquisita nella più estesa gamma di variabili possibili ed essere riusciti a rendersi pronti a una reazione.

Funzionalità di base del processo di esperienza: reiterazione e attivazione emozionale

Attraverso quale sistema valutativo avviene che una categoria di esperienze viene ritenuta sufficientemente sviluppata, al punto di essere memorizzata in maniera fissa nell'identità del soggetto? L'esperienza è un sistema funzionale primario, che vede la mente coinvolta nel processo di adattamento della persona, a livello principalmente corporeo e biologico, al proprio ambiente, contesto e relazioni. A sovrintendere, guidare e regolare lo sviluppo e l'adattamento ambientale troviamo la mente, che, come abbiamo visto, è l'area riservata all'elaborazione delle esperienze sensoriali compiute. Nel sistema primario di adattamento, che troviamo nei bambini, le abilità si vengono a sviluppare in una sola direzione, quella dell'incremento; perciò, l'individuo sviluppa le proprie abilità sempre nella direzione orientata a potenziarle. Per esempio, il bambino impara a camminare, diventa abile, diventa più abile, inizia a correre, diventa veloce, diventa più veloce eccetera. Un analogo processo avviene per tutte le altre abilità sia motorie sia cognitive. Proprio in quest'ultima area, questo schema di sviluppo determina l'implemento e i limiti della futura personalità. Se osserviamo un qualsiasi banale comportamento, è facile notare che esso contiene una grande quantità di informazioni, che la nostra mente elabora in maniera del tutto automatica. Questa ingente quantità di dati e i relativi automatismi comportamentali ci fanno intuire quale mole di informazioni la mente ha registrato nell'arco di acquisizione di quel dato comportamento. Possiamo comprendere con chiarezza che l'individuo sviluppa una percezione di sé composta da una enorme quantità di dati esperienziali impliciti, cioè senza una loro tematizzazione cognitiva e da una parte cosciente che riguarda solo alcuni elementi localmente variabili di quel dato comportamento. Il meccanismo dell'esperienza e della sua elaborazione si articola in un sistema ancora più sofisticato nell'area delle relazioni umane, dove troviamo, oltre alle funzionalità più semplici del comportamento, le strutture e le sovrastrutture culturali e intenzionali. Questa notevole complessità ci porta a riflettere sulle interazioni che avvengono tra l'esperienzialità primaria, su cui si basa il nostro modello emotivo e conseguente personalità, e le sovrastrutture culturali, che orientano e complessano i comportamenti relazionali. Nei primi anni di vita il bambino sviluppa il proprio bagaglio esperienziale emotivo, in una continua interazione tra modello emotivo genitoriale e dell'entourage con una continua contaminazione di tipo culturale. Questa interazione definisce il livello di completamento di ogni singolo nucleo esperienziale, sia istantaneo, sia elaborato. Quando un'area esperienziale non riceve dei feedback coerenti nella catena tra intenzione-comportamento-feedback, il modello emotivo registra un'incoerenza, che definisce una lacuna da compensare con ulteriori comportamenti volti a completare e chiudere l'esperienzialità intorno a quella data area. Accade quindi che, se escludiamo le variabili locali, quando un individuo reitera un comportamento, emerge precisamente la lacuna emozionale-esperienziale che l'individuo è programmato a cercare di compensare.

Consideriamo ora il sistema funzionale della memoria a più livelli, dove troviamo: la memoria psicomotoria, la memoria procedurale, la memoria emozionale, la memoria cognitiva. Queste aree della memoria sono coinvolte nella definizione/percezione di quei fattori che motivano la persona nell'adozione di un comportamento. Nel divenire dei comportamenti umani, dobbiamo ricordare che non esiste un principio scatenante nello sviluppo causa-effetto dell'esperienza e dell'identità, bensì le azioni e gli stimoli che la persona registra come esperienza sono parte di una catena continuativa, di cui l'individuo percepisce solo una minima porzione a livello cosciente. Benché la nostra percezione della realtà sia segmentata, per cui percepiamo ogni nostra reazione come una risposta a uno stimolo esterno, dobbiamo ricordare che anche lo stimolo è una sorta di feedback dei nostri comportamenti agiti precedentemente, in un flusso che è assurdo “congelare” e giudicare nei suoi singoli istanti. Ogni dettaglio comportamentale è un inconsapevole flusso di comunicazione, che stimola, attiva e motiva l'attivazione delle diverse aree della memoria e l'identificazione di altri comportamenti di risposta agli stimoli ricevuti. Ciascuno di noi stimola e viene stimolato in un complesso linguistico di metacomunicazioni, di cui la maggior parte inconsapevoli. Da questo meccanismo di interazione tra memoria e comportamenti, deriva l'interpretazione proiettiva e personale della realtà. In altre parole, la nostra esperienza modula la nostra capacità nella percezione e produzione di stimoli comunicativi che vanno a incrementare e orientare la nostra memoria esperienziale.

Questo processo permea tutta la nostra percezione della realtà con un sistema scalare nella fase di fissazione della memoria; pertanto, il compiere una singola esperienza istantanea, per quanto incompleta, assume il senso percettivo di un'ipotesi di una possibile realtà.

In questo senso, l'individuo potrà percepire che nella sua realtà esiste una nuova dimensione da esplorare. Solo quando il soggetto si attiva per esplorare questa nuova dimensione, inizia il processo esperienziale vero e proprio, con l'appropriarsi progressivo dell'esperienza, attraverso il compimento di una catena di comportamenti e poi, attraverso la loro reiterazione, con la verifica dei feedback ricevuti. Con questo dinamismo, avviene che il sistema mnemonico fissa l'esperienza che viene a configurarsi come elaborata, comprensiva dei fattori comportamentali stabili e delle variabili previste. La stratificazione di questi dinamismi nella complessità dell'interazione umana rappresenta l'identità della persona. Spesso notiamo dei comportamenti apparentemente incomprensibili, che in passato si definirono “nevrotici”; tuttavia, dobbiamo comprendere la loro funzionalità nel complesso sistema esperienza-identità. In questo senso, si può intendere la nevrosi come un fenomeno non filosoficamente patologico, bensì dinamico, che scaturisce da un'interazione tra le persone dove la catena intenzione-comportamento-feedback contiene delle distorsioni. I dinamismi distorti vengono interpretati come patologici, in quanto dall'esterno è facile notare la sofferenza di chi li vive. Di fatto, assistiamo a un meccanismo funzionale che l'individuo assorbe e sviluppa nel tempo, presumendo una sua funzionalità valida e rassicurante. Visto dall'esterno, il reiterarsi di un'esperienza distorta, produce la percezione secondo cui l'individuo non stia ricevendo dei feedback coerenti rispetto alla sua intenzione e al suo comportamento. Tuttavia, dobbiamo considerare che la persona che vive la sofferenza non percepisce l'incoerenza dei feedback che riceve, ma la realtà di un fenomeno stabile e certo. In questo senso, la sofferenza che egli prova non gli permette di vedere dove viene a distorcersi il processo di interazione. A prescindere dal valore di soddisfazione o di sofferenza, l'individuo assorbe ed elabora l'esperienza della realtà come valida e funzionale; per questa ragione, le esperienze istantanee si stratificano anche se distorte e generano un quadro esperienziale distorto ma comunque elaborato e memorizzato. L'esperienza elaborata distorta diventa comunque “normale” per l'individuo e definisce il suo panorama proiettivo. La condizione di sofferenza non sempre evidenzia e motiva la persona nel cercare di cambiare lo stato delle cose, ma, in ogni caso, genera o evidenzia la condizione di lacuna del modello emotivo e il conseguente bisogno di reiterare per approfondire quella precisa area esperienziale.

Questa condizione di sofferenza obbliga l'individuo a dover sviluppare l'ampiezza del range dei possibili risultati. Una volta esperiti un numero sufficiente di casi, il range è completato e l'esperienza viene memorizzata come parte della nostra identità. Quando un'esperienza ha percorso questo ciclo, diviene un automatismo dal punto di vista comportamentale, per cui ogni volta che il soggetto si troverà in una data situazione, il suo background di identità attiverà quel dato comportamento in maniera totalmente automatica. L'obsoleta visione “nevrotica” come patologica dei comportamenti è tecnicamente sbagliata perché, al contrario, è una condizione funzionale e l'unica via di evoluzione che l'individuo ha come strumento per adeguarsi alla realtà relazionale. La reiterazione e l'ampliamento del range delle esperienze e relativi feedback non sono presenti solo nei casi di sofferenza, ma, con un'identica meccanica, anche nei casi in cui il motore attivante è la soddisfazione. Che l'individuo stia praticando un'attività soddisfacente (per es., lo sport preferito) o stia soffrendo ( per es., di gelosia), egli adotta analoghi schemi di sviluppo e percezione della realtà e dei relativi feedback.

A seguito di questo sistema di acquisizione e di ambientazione esperienziale, l'individuo determina i propri comportamenti in maniera totalmente subordinata all'ampiezza e alla tipologia delle esperienze elaborate. Come già esposto, dobbiamo ricordare che il percorso di sviluppo dell'identità viene definito dalla mappa del modello emotivo. Quindi, possiamo dire che, rispetto al concetto dove l'individuo vive una sorta di libertà nel decidere e determinare la propria vita, la condizione mentale reale comporta che l'autodeterminazione della persona trova il limite dato dalle proprie esperienze. Il risultato generale, lo ricordiamo, è che il processo di costruzione dell'identità mantiene ciascuna esperienza istantanea in uno stato aperto nell'elaborazione per un certo tempo o un certo numero di reiterazioni; dopodiché, il contenuto viene memorizzato e fissato. Questo processo non prevede, se non con un lungo “riaddestramento”, la revisione della memoria fissata e, pertanto, la nostra identità diventa molto difficilmente modificabile. Possiamo dire che, nella struttura del nostro modello emotivo e la sua modalità di evoluzione e sviluppo, non è prevista la revisione e quindi risulta programmato che quello che noi percepiamo sia “la” realtà, proprio perché essa è stata esperita e verificata. Si produce perciò un fenomeno di oggettivazione della soggettività, secondo il quale è prevista una presunzione di efficienza, la quale permette di proteggere la nostra identità da una continua necessità di verifica.

Riprendendo quanto detto per ciò che concerne le emozioni (curiosità evolutiva e paura), dobbiamo ricordare che è l'attivazione emozionale a determinare l'attivazione del sistema esperienziale. Le emozioni sono uno stato di eccitazione collegato direttamente ai processi difensivi biologici che attivano la totalità del nostro corpo. Un'emozione, quando è attiva, mantiene aperto il canale di elaborazione di quella specifica area d'esperienza; via via che cessa l'attivazione emotiva, l'esperienza viene a definirsi elaborata e si fissa nell'identità. Nella reiterazione di una data esperienza, all'inizio l'individuo è fortemente sollecitato emotivamente, in quanto egli non sa ancora comprendere il proprio livello di efficienza e di abilità in quel dato ambito; nel progredire della reiterazione, la pressione emotiva gradualmente diminuisce e cresce la percezione dell'abilità e dell'efficienza. Nel momento in cui nell'individuo non si attiva più una pressione emotiva, l'esperienza è totalmente elaborata. Nelle condizioni di sofferenza, troviamo che il processo tra la reiterazione esperienziale e i feedback ricevuti non ha una coerenza diretta nel soddisfare la percezione dell'abilità/adeguatezza dell'individuo. Le emozioni attivate dall'incoerenza tra l'esperienza vissuta e la situazione che l'individuo sta vivendo, inducono comportamenti rivolti a misurare le tre condizioni (abilità, capacità, limiti), che verranno riconfrontate con l'esperienza del . Questa particolare condizione impedisce la diminuzione della pressione emotiva e favorisce l'acuirsi della focalizzazione su fattori simbolici da parte dell'individuo che non riuscirà a elaborare l'esperienza e, di conseguenza, coattivamente continuerà a reiterarla in una dinamica non più funzionale, bensì distorta.

Consideriamo ora brevemente i fenomeni di rimozione di alcune particolari esperienze . La rimozione o cancellazione del fatto esperito dalla nostra memoria è un fenomeno sul quale sono state spese molte congetture. Si è tentato di dare una spegazione funzionele direttamente correlata ai traumi patologici, si è cercato di sostanziare un legame profondo tra il presunto trauma generatore e la rimozione dell'esperienza, tuttavia, come molte pratiche di ricerca condizionate da un preciso intento, non ha prodotto una concreta spiegazione funzionale, se non una generica funzionalità di tipo protettivo, con cui l'inconscio si scherma; ma da cosa si difenderebbe l'inconscio, nel ricordare un trauma esperienziale di cui non ha parametri interpretativi e soprattutto, da un evento irripetibile e privo di senso relazionale? Dobbiamo ricordare che assai frequentemente un trauma esperienziale è profondamente legato a stereotipi culturali e morali e al contrario scarsamente associato a dinamismi emozionali specifici, definendo una particolare condizione di attività, nel cui quadro generale, la vittima soffre di una "ingiustizia" su un livello eminentemente culturale/sentimentale e al contrario, emotivamente troviamo scarso materiale da elaborare. L'individuo, rispetto a certi traumi e situazioni, non trovando nell'ambiente una ripetibilità, non attua la meccanica della elaborazione in quanto mancante di dati esperienziali ripetibili; pertanto, dopo un lasso di tempo, cessa la loro funzionalità nell'evoluzione esperienziale, la mente ne rimuove i contenuti evolutivamente esperienziali e rimane eventualmente solo la memoria storica, (se l'esperienza ha un valore sociale o condivisibile).

 

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