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L'evoluzione del modello emotivo

In questo capitolo, opereremo una sintetica estrapolazione di un sistema più ampio ed esteso, che abbiamo trattato nei capitoli sul modello emotivo, sulla sua genealogia e sulla sua cinetica. L'assorbimento da parte del bambino di questa complessa rete di associazioni tra fatti, situazioni e luoghi e relativi stati emozionali genera una struttura funzionale che potremmo paragonare a un organo, con la propria definizione funzionale e relativa capacità/flessibilità adattiva. Una volta conclusa la prima infanzia, l'organo è strutturalmente completo, ma esperienzialmente ancora privo di una reale capacità di operare. La sua adattività è massima e la sua potenza è minima. Nelle successive fasi di crescita, il bambino integrerà l'area delle esperienze definendo la capacità operativa del modello emotivo nella sua completezza. Nel concetto di completezza, dobbiamo ricordare che “completo” non corrisponde a un'esperienzialità estesa e positiva, ma unicamente significa l'integrazione tra le aree emozionali acquisite e il bagaglio esperienziale correlato. In altre parole, il genitore trasferisce inconsapevolmente al bambino quel panorama di attività emozionale che comprende aree consolidate e stabili, aree non completamente elaborate, aree totalmente inelaborate e, infine, zone ignote e al di fuori dell'elaborabilità.

Da un certo punto di vista, si può asserire che il bambino, nella prima infanzia, risulta essere una sorta di “clone” emozionale della somma dei soggetti con cui ha a che fare. La propria mappa di risposte emozionali agli stimoli che si riceve è definita e orientata. Indicativamente, vengono assunti gli anni fino alla fine dell'adolescenza come periodo nel quale la mappa emotiva viene integrata con un enorme bagaglio di esperienze, che consolida e completa il modello originario adattandolo, per quanto possibile, alla realtà concreta del soggetto. Le esperienze reali sul piano emotivo definiscono la funzionalità e la riproducibilità di ciascuna area emozionale originaria. Il modello originario diviene un nuovo organo completo, che, al contrario dell'età infantile, si completa di potenza e perde di flessibilità adattiva.

Cosa succede quando, in un modello emotivo maturo, nuove esperienze impongono una nuova condizione di adattamento?

Anzitutto, andiamo a comprendere alcuni aspetti importanti che determinano in che modo una nuova esperienza attivi il bisogno di un nuovo adattamento del modello emozionale. Non tutte le esperienze hanno un peso sostanziale per la persona. Per comprendere il criterio con il quale le esperienze vengono interpretate e filtrate dal modello emotivo, schematizziamo le quattro aree sopracitate:
- aree consolidate e stabili (elaborate)
- aree non completamente elaborate
- aree totalmente inelaborate
- zone ignote e al di fuori dell'elaborabilità

Qualsiasi esperienza che appartenga alla prima area non attiverà alcuna reazione e, pertanto, non determinerà alcun adattamento del sistema emozionale e percettivo. Quando invece le esperienze riguardano le aree non completamente elaborate, l'individuo vive una forte spinta ad assorbire, ad ampliare e a integrare le proprie abilità, la propria percezione e la propria cognizione. Quando le esperienze riguardano le aree totalmente inelaborate, l'individuo attua una catena di reazioni che vede dapprima un rifiuto e, tendenzialmente, una rimozione istantanea degli eventi; poi, segue una fase di adattamento nella quale l'individuo assume gli stereotipi e apre la revisione di quell'area di modello. Quando le esperienze riguardano le zone ignote e al di fuori dell'elaborabilità, l'individuo tende a non percepire affatto l'esperienza vissuta e il suo concatenarsi di opportunità.

Nelle aree non completamente elaborate e in quelle totalmente inelaborate, è frequente rilevare condizioni di conflittualità, in quanto, specialmente nella cultura occidentale, i limiti di sviluppo esperienziale sono spesso associati a forti contrasti e contraddizioni, che alterano le dinamiche dell'aggressività e attivano una forte distorsione nell'attività proiettiva. Queste distorsioni, in molti casi, producono un cambio morfologico vero e proprio delle funzionalità del modello emotivo.

Come abbiamo compreso nel capitolo sull'elaborazione delle esperienze, i dinamismi emotivi sono il continuo alternarsi tra il dominio dell'attrazione (curiosità evolutiva) e della paura (come regolatore). L'individuo assorbe esperienze ed elabora contenuti in maniera lineare e sviluppa abilità fino a quando la dinamica dell'attrazione prevale su quella della paura. In queste condizioni, il modello emotivo si espande e si arricchisce di stabilità; diversamente, se il dominio della paura ha il sopravvento, l'individuo sviluppa disagio, inadeguatezza e, perfino, conflittualità. In effetti, è facile intuire che, nelle aree parzialmente elaborate e in quelle totalmente inelaborate, le dinamiche della paura sono forti, se non addirittura parte integrante del modello. In altre parole, se noi osservassimo un individuo in una realtà tribale, con un modello sociale elementare e un panorama esperienziale possibile limitato, potremmo osservare che l'abilità di espandersi del modello emotivo è rapida e lineare. Diversamente, l'uomo contemporaneo assorbe già da bambino forti distorsioni nel proprio modello primario e questo deve essere riconosciuto al fine di inquadrare correttamente le aree esperienziali che si vanno a esaminare.

Un adulto, che riproduce un modello emotivo distorto, perché distorta era la sua sorgente, rappresenta la funzionalità lineare e corretta che troviamo come “sana” nell'uomo tribale. Al contrario, un individuo, che ha assorbito un modello emotivo distorto e che vive esperienze non conformi/previste dal proprio modello, diviene incapace di adattività e sviluppa una sofferenza. Il lettore, a questo punto, si chiederà come mai collochiamo come sano il riprodursi di un modello emotivo distorto. Per comprendere questa distinzione, dobbiamo notare che la realtà emotiva della persona e le sue strutture culturali e comunicative sono ambiti assai diversi come sorgenti e come conseguenze, in quanto oggi sappiamo che ciò che viene comunicato rappresenta una condizione proiettiva, spesso antitetica, alla realtà emotiva vissuta. Ne risulta che, a un'osservazione esteriore, un soggetto può lamentare una sofferenza, ma sostanzialmente il suo comportamento la persegue.

Quando un modello emotivo maturo incontra esperienze e variabili nuove, si apre la necessità di ampliare l'area esperienziale con le relative revisioni funzionali del modello stesso. Questo processo richiede tempo, in quanto i contenuti vissuti devono “quadrarsi”, adattarsi e definirsi il più possibile secondo i sistemi esperienziali già elaborati. La mente, nel suo insieme funzionale, tenta di adattare l'esperienza vissuta al proprio modello e non di adattare il modello all'esperienza vissuta. In altre parole, il sistema proiettivo, che sorge dal proprio assetto emotivo di modello, cerca di tradurre a proprio modo l'esperienza vissuta. In pratica, ne deforma la lettura e l'esperienza viene adattata alla propria capacità di leggerla.

L'evoluzione di un modello emotivo post-adolescenziale passa attraverso un filtraggio iniziale, basato sulla quantità di attivazione che la nuova prospettiva esperienziale fornisce all'individuo. Quando questa quantità attiva la percezione di opportunità oppure di sofferenza, l'individuo attiva un'intuizione estesa dei fenomeni, iniziando ad assorbirne i fatti e collocarne mnemonicamente i contenuti percepiti. In altre parole, l'individuo comincia a vedere una nuova situazione con la quale confrontarsi. In questa nuova situazione, l'attività emotiva è altissima e, di conseguenza, quella proiettiva lo è altrettanto. Questo primo stato viene condizionato dalla specifica morfologia dell'area di modello emotivo da rielaborare, con i limiti e le abilità previste da quest'ultimo.

L'evoluzione del modello “a dente di sega”

L'elaborazione delle esperienze vissute non è affatto un concetto semplice; elaborare significa una sostanziale modifica dell'insieme dell'identità, dove abilità, percezione, interazione ed emozionalità si hanno da adattare alla luce di una nuova realtà. In altre parole, quando sviluppiamo esperienze in una nuova area, gli effetti producono una “onda d'urto” che va a indurre una revisione estesa ed allargata anche alle altre aree esperienziali. Ogni esperienza, in una data area, viene assorbita in un certo tempo, definendo un'evoluzione dell'identità dell'individuo. Quando un'area esperienziale si arricchisce di nuovi contenuti, la revisione più generale dell'identità per l'adattamento alla nuova esperienza richiede ulteriore tempo (non contemporaneo all'esperienza stessa). La nostra mente richiama e reinterpreta porzioni di esperienza, in modo logicamente connesso alla morfologia del modello, in una visione più estesa e aggiornata. In altre parole, con l'elaborazione di una nuova area esperienziale, l'individuo va a ri-aggiornare anche le aree fino a quel momento già consolidate. Questo aggiornamento dura alcuni mesi, nei quali la persona sembra che non abbia assorbito quell'area esperienziale. Questo andamento, che vede un forte incremento legato all'acquisizione, subisce un certo arresto per la revisione dell'identità in generale, non potendo compiere contemporaneamente acquisizione ed elaborazione. La persona, in fase di “aggiornamento”, ha la sensazione di essere tornata indietro e aver dimenticato le esperienze avute. Tuttavia, ogni esperienza lascia la propria impronta e, di fatto, non avviene una reale rimozione. In uno sguardo di prospettiva, il dinamismo dello sviluppo di un'identità già matura si raffigura con un diagramma “a dente di sega”, dove l'evoluzione esperienziale graficamente si rappresenta nella diagonale di crescita, mentre nel dislivello abbiamo il tempo di rielaborazione e di aggiornamento delle altre aree esperienziali. I “denti di sega” dell'evoluzione di una persona, tuttavia, mantengono una linearità crescente, dove per un'evoluzione di valore “x”, però, non corrisponde un'equivalente recessione.

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