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Le dinamiche dell'invidia

A seguito delle dinamiche competitive si strutturano una serie di rappresentazioni proiettive ideologiche e comportamentali che spesso permeano in modo inconsapevole l'intera esistenza. Una di queste è l'invidia, che è stata addirittura additata tra i vizi capitali; essa altro non è che una conseguenza del dominare dell'emozione primaria della paura in un contesto proiettivo di esasperata competizione, dove l'individuo teme di non essere all'altezza e, quindi, proietta di essere meno desiderabile, valido ed efficiente di altri e infine escluso. L'invidia è l'inconsapevole espressione proiettiva, talvolta drammatizzata, di percezione della propria inadeguatezza, che sposta la focalizzazione su altre persone, basandosi su una presunta “ingiustizia cosmica” per cui a un altro individuo sono state concesse opportunità, speranze e abilità dalle quali ci si sente esclusi, sempre e irrimediabilmente in modo ingiusto. L'invidia si traveste da legittima contestazione nei confronti di un'ingiustizia o di un'ineguaglianza, attraverso l'imposizione di una morale ideologica (giusto o sbagliato).

A differenza di come spesso viene intesa superficialmente, l'invidia non è il prodotto di un animo malato, perverso o cattivo, ma, anzi, è uno dei sentimenti dominanti di coloro che adottano un modello proiettivo di tipo vittimistico. In questo quadro, dove la percezione della propria inadeguatezza è dominante, si innesta conseguentemente il senso di colpa (avere la colpa dell'inadeguatezza), come risultato di un processo di attivazione di uno schema identitario assorbito con il proprio modello emotivo.

In questa percezione di inadeguatezza, l'individuo trova delle risposte risolutive, ma esse non sono percorribili per le proprie abilità e limiti. Ne risulta un aumento della paura, che, essendo inaccettabile, viene collocata come fenomeno negativo. L'individuo si sente bloccato e non agisce; questa incapacità diventa la dimostrazione della sua cattiva volontà e, di conseguenza, si traduce in colpevolezza. L'emozione della paura si materializza in un nucleo emotivo di senso di colpa.

La frustrazione che l'individuo non riesce a colmare lo rende colpevole, e il divario tra il suo bisogno primario di affermazione e il bisogno proiettivo del riconoscimento produce la percezione di sé come vittima e degli altri come origine delle proprie difficoltà. Questo schema dinamico non necessariamente si focalizza su un singolo soggetto colpevole, perché le esperienze prodotte non permettono questa identificazione, ma, nella maggior parte dei casi, esso si presenta come una rappresentazione ideologica generica di diffusa deviazione e colpa. Similmente allo specifico senso di colpa, avviene che l'individuo proietta funzionalmente sull'esterno un'universale struttura ideale come origine della propria frustrazione. Questo ripetitivo rimando tra l'inadeguatezza e il senso di colpa impone all'individuo un continuo confronto tra sé e gli altri nella ricerca di possibilità per riscattarsi. Da un punto di vista pratico, questo avviene attraverso l'assunzione di una generica visuale critica, analitica, comparativa, dove il paradigma della normalità rappresenta il metro di confronto tra sé e gli altri. Contestualmente, il soggetto che soffre di questo dinamismo focalizza la propria attenzione su ciò che è al di fuori della “normalità”, ma, mentre in un soggetto equilibrato l'a-normalità rappresenta un'area di curiosità e attrazione, per un soggetto invidioso essa si configura come rappresentativo di qualcosa di sbagliato, non valido, temibile, “più” fortunato, in accezione comparativa. Le dinamiche comportamentali della competitività dell'invidia per molti aspetti possono venire associate al complesso di inferiorità, ma dobbiamo porre attenzione a non generalizzare e confondere un dinamismo della paura in una superficiale ed erronea rappresentazione patologica. Concludendo, possiamo identificare questo dinamismo quando siamo in presenza di una forte attività comparativa che impedisce lo sviluppo di un'autentica empatia basata sul benessere emotivo. A lungo termine, ciò comporta l'inibizione della crescita delle proprie abilità e la verifica/conferma della propria inadeguatezza e della propria condizione di vittima.

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