HOME | Non-Psicologica |
|
Le proiezioni Quando parliamo di “realtà”, dobbiamo intendere un insieme integrato di fenomeni, che la persona percepisce attraverso la sua interpretazione. Infatti, ogni individuo filtra inconsapevolmente la lettura della realtà attraverso il proprio bagaglio esperienziale sviluppato a partire dal proprio modello emotivo. Il nostro sistema proiettivo ci fa “vedere” ciò che la nostra esperienza e le nostre emozioni ci permettono; pertanto, si profila una certa differenza tra quello che vediamo/percepiamo e quello che la realtà oggettuale invece è. Il nostro sistema percettivo, quindi, per effetto delle esperienze di vita vissute e condivise, definisce che ciò che vediamo o comprendiamo sia per un certo grado difforme dalla realtà. Questa differenza, alcune volte notevole, altre minima, si genera per l'effetto della postura emozionale dell'individuo. Chiamiamo proiezioni quella visione del reale dove l'emozionalità del momento condiziona/deforma un'immagine della realtà, utilizzando gli elementi presenti nella realtà, ma combinandoli in maniera espressiva secondo i bisogni emotivi. Noi percepiamo e interpretiamo la realtà mediante le proiezioni. Esse sono delle posture comportamentali e mentali simili alle aspettative, alcune volte coscienti, ma nella maggior parte dei casi inconsapevoli, che ogni singolo essere umano ha nei confronti dei fatti che accadono e delle relazioni che vive. Tuttavia, esse non sono vissute come “interpretazioni soggettive della realtà”, bensì come la realtà oggettiva stessa. Lo scopo funzionale delle proiezioni è la relazionalità e la comunicazione, nell'intento e nel bisogno di ciascuno di verificare/ottenere risposte e comportamenti rispetto a una determinata situazione. Nell'interpretazione della realtà, ogni individuo attua una propria rappresentazione secondo i propri bisogni; pertanto, le proiezioni sono più o meno distanti dalla realtà fisica/oggettiva/materiale/intenzionale. Questa distanza si verifica perché non vi è una percezione che non sia filtrata dalla nostra personale e soggettiva capacità interpretativa, dettata da esperienze, luoghi comuni e stereotipi. Da cosa dipende la vicinanza delle proiezioni alla realtà? Ciò dipende dal nostro particolare assetto di modello emotivo, che discende da un preciso modello familiare al quale siamo stati sottoposti coattivamente fin dalla nostra nascita. In base a questa matrice formativa, tenderemo a interpretare gli eventi e le altre persone utilizzando un preciso e determinato filtro. Le proiezioni riguardano come vediamo e interpretiamo il mondo e gli altri, ma anche come interpretiamo noi stessi. Infatti, spesso abbiamo un'idea di noi stessi che, vista dall'esterno, non sempre risulta coerente e conforme alla realtà. Risulta quindi che la percezione di sé può vivere frequentemente su livelli multipli, dove, in alcune aree l'individuo identifica se stesso nella consapevolezza di abilità o lacune, mentre in altre egli tende ad agire inconsapevolmente secondo dinamismi a lui non noti. Genealogia e funzionalità del sistema proiettivo La natura ci ha fornito di un sistema sensoriale che permette a tutti gli animali di relazionarsi con l'ambiente e di ambientarsi. Gli animali, tra cui l'uomo, nei milioni di anni hanno usato solo la sensorialità per ambientarsi e sopravvivere e questo ha determinato lo sviluppo del sistema limbico con le sue caratteristiche e le sue funzionalità ma, a differenza degli animali, l'uomo ha sviluppato sistemi collettivi e cognitivi che hanno modificato tutta la sua realtà e parte della sua morfologia cerebrale. Nell'articolarsi degli sviluppi sociali umani, solo nelle ultime migliaia di anni assistiamo a un importante incremento delle attività astratte e cognitive. Ne risulta che la nostra persona, nel suo insieme, ha dismesso la sensorialità come sistema relazionale ma non ha potuto dismettere tutte le funzionalità a esso collegate. In pratica, la nostra parte istintuale pone in continuazione domande primarie a cui non possiamo non rispondere. Queste domande sono i dinamismi emotivi che, perentoriamente, emergono e condizionano il nostro assetto di vita quotidiano. Questi dinamismi emotivi si trasmettono nel rapporto con i figli in maniera del tutto inconsapevole, fin dai primissimi anni di vita. Cosa sono le proiezioni? Esse sono lo strumento con cui l'individuo interpreta e anticipa gli eventi. La nostra mente ha un enorme potere mnemonico che esiste in funzione di sopperire a un continuo, ripetitivo e inutile reiterare dei comportamenti sensoriali e conoscitivi, in un contesto di vita continuamente ripetitivo. La risposta limbica alla frequentazione di altri esseri sarebbe un'attività sensoriale costante (annusarsi, strusciarsi, cogliere segnalazioni di varia natura); l'ampiezza della nostra memoria ci permette di avere categorie e forme di riconoscimento più ampie e sofisticate, permettendo inoltre l'abbreviazione dei tempi conoscitivi. Questa soluzione funzionale, molto performante, ha permesso all'uomo di sviluppare complessità inaudite, esperendo aree del possibile altrimenti non pensabili. La contropartita di questa grande potenza astratta sta nel livello di aderenza tra l'astrazione e la realtà oggettiva. Come abbiamo visto, le spinte emotive si basano su due emozioni primarie: la paura e la curiosità evolutiva; quando esse si attivano in un contesto astratto assistiamo a un fenomeno di distorsione o forzatura della realtà. Questa forzatura, qualche volta, produce intuizioni anche geniali con conseguenze concrete e straordinarie, ma, per una distorsione della realtà eccezionale, ce ne sono miliardi di fallimentari. Le proiezioni assolvono la funzione di rispondere al bisogno primario di identificazione del grado di minacciosità di un oggetto, di un altro individuo o di una situazione. L'uomo, come tutte le forme viventi, non può eludere queste risposte. Ovviamente questo accade in maniera così spontanea e automatica da perderne la consapevolezza e il controllo, ma di fatto, il meccanismo proiettivo che tende a “precorrere” gli eventi, si verifica sempre e sempre fornisce la risposta primaria. Proiezioni, paura e competitività In una piccola comunità poco strutturata nei regolamenti e nelle codifiche sociali, ciascun individuo trova facilmente il proprio ruolo e la propria posizione, senza doversi strutturare in complesse rappresentazioni, difficili decisioni e indagini approfondite. In maniera del tutto spontanea, egli si troverà e si sentirà riconosciuto dagli altri componenti del gruppo; in una collettività più strutturata, invece, dove questo automatismo non si attiva spontaneamente per effetto della complessità dei regolamenti e delle gerarchie sociali, questo stesso individuo dovrà sviluppare un'altrettanta complessa percezione di sé e degli altri al fine di potersi collocare. Ne consegue che egli deve aumentare la propria attività di analisi e confronto con gli altri, incrementando la dimensione problematica nella percezione della realtà (competitività relazionale, dinamismo della performance). È ormai chiaro che, più estesa e complessa è la collettività, più l'individuo avrà difficoltà a collocarsi; di conseguenza, aumentano la sua attività proiettiva e il livello di sofferenza che produce quest'amplificazione dell'astrarsi dell'identità. Questa condizione mette a dura prova le capacità adattive dell'individuo, nel quale, in un certo lasso di tempo, le difficoltà accendono un'attivazione limbica della paura, che diventerà uno stato molto presente nei suoi dinamismi emotivi. La paura inibisce le dinamiche vitali, condiziona la lettura della realtà e cambia le priorità nel processo di individuazione. Come ormai sappiamo, combattere la paura è una battaglia persa, in quanto la paura è la conseguenza di un processo relazionale. D'altronde, non si possono combattere le emozioni primarie; del resto, che senso avrebbe? In questo continuo confronto tra se stessi e i modelli sociali, è inutile dire che l'individuo si vede sempre e solo perdente, anche quando, per pochi momenti, egli si percepisce come vincente. Pertanto, in definitiva, il confronto e le nostre paure hanno sempre la meglio sulla nostra sensazione di benessere. Per fare chiarezza: ogni individuo adotta la scorciatoia che predilige l'uso dei simboli sociali come sufficienti a sostenere un'accettabile collocazione sociale e la conseguente accettazione della collettività. Questi simboli che tutti noi utilizziamo (dai jeans alla cravatta, dal vintage all'avanguardia) vengono scelti secondo una spontanea e inconsapevole linea guida. Essa, che si realizza nel nostro addestramento/educazione, ci porta a identificare i simboli e la quantità della loro efficacia. Questo processo avviene nel Superego (normative e linguaggi), attiva varie spinte emotive dell'Ego (risposta emozionale) e nel tempo determina la morfologia del Sé. Proiezioni, identità e collettività Questo dinamismo avviene in maniera totalmente inconsapevole, lo possiamo percepire solo in determinati momenti di difficoltà e i comportamenti e le emozioni si mantengono nella sfera della metacomunicazione. Comprendiamo, così, che i sistemi che attivano i dinamismi relazionali ed emotivi sono le componenti della comunicazione consapevole e inconsapevole, cioè quelle specifiche segnalazioni espressive, corporee e mimiche, che contengono stimoli, simboli e risposte. Nel continuo divenire di queste segnalazioni, l'individuo si trova ad articolare una complessità linguistica da interpretare che contiene un certo margine di errore, il quale determina il grado di aderenza alla realtà del processo proiettivo. Ne consegue che l'ampiezza esperienziale dell'individuo determina una maggiore aderenza delle proprie proiezioni alla realtà, divenendo più efficace nella propria interazione. Quando invece l'esperienza è scarsa, l'individuo si trova a vacillare tra le due dimensioni emotive antitetiche, la paura e la curiosità evolutiva, che determineranno grandi differenze nell'attivazione proiettiva. Osserviamo queste due condizioni. Qualora a dominare sia la curiosità evolutiva, l'individuo inizierà a percepire con dominanza tutti i segnali, anche ipotetici, che comunichino attrazione, perché il suo bisogno è spingersi evolutivamente ad ampliare le esperienze e tutti gli altri segnali tenderanno a essere ignorati; possiamo quindi affermare che l'individuo cerca conferma o smentita del proprio assetto emotivo. In ogni caso, l'emozione della curiosità evolutiva determina i segnali comunicativi che l'individuo emette, quali interpreta e quali ignora. Quando a dominare è la curiosità evolutiva tutta la realtà che l'individuo interpreta si deforma per rispondere al bisogno primario di ambientazione. Assistiamo a un forte allontanamento tra ciò che l'individuo vede attraverso la proiezione e ciò che la realtà è. Le proiezioni sono un obbligo comportamentale (infatti non abbiamo alternativa) e condizionano anche i feedback; quando abbiamo un problema, condizioniamo chi ci ascolta e mutiamo atteggiamento al fine di ottenere conferma rispetto a quello che temiamo (profezia che si auto avvera), o in modo diretto, portando l'altro verso il nostro assetto emotivo, o in modo indiretto attraverso una nostra interpretazione deformata. L'individuo quando identifica un problema, che è quasi sempre fittizio, sta semplicemente rappresentando un assetto emotivo con un certo valore di drammatizzazione. Spesso le nostre proiezioni sono originariamente condizionate, a livello della matrice, dalle aspettative e dalle proiezioni primariamente dei nostri genitori e secondariamente del contesto sociale e collettivo, rispetto al quale, soprattutto durante l'adolescenza, viviamo un confronto a contenuto anche conflittuale basato sull'accettazione, con il conseguente inserimento, oppure basato sul rifiuto, con il conseguente isolamento. Questo dinamismo avviene inconsapevolmente; una condizione evolutiva risiede nel riuscire a distinguere il livello di appartenenza identitaria dei nostri meccanismi proiettivi, ovvero se davvero scaturiscono dalle nostre esperienze, oppure se si basano su modelli altrui acquisiti. In quest'ultimo caso, le nostre proiezioni risulteranno ulteriormente irreali, e in questo senso, si distaccheranno ancora di più dalla realtà, in quanto completamente scisse dalle nostre emozioni e situazioni personali. Per questo, proprio durante l'adolescenza, si adottano dei modelli astratti, sia a livello di ideali sia a livello di figure emblematiche, attraverso un pacchetto di simboli precostituiti che la società e il sistema mediatico propongono in modo da sopperire ad alcune lacune, manipolare mode e comportamenti. Proprio perché questi modelli sono in realtà estranei al sistema percettivo spontaneo dell'individuo, spesso sono fallimentari e l'individuo tenderà ad adottarli proprio per compensare un bisogno, ma di fatto generando la propria insoddisfazione. Più un individuo si trova addestrato in un sistema di proiezioni e rappresentazioni collettive, più avrà difficoltà a far sviluppare la propria identità. Provocatoriamente, possiamo affermare che se il nostro assetto emotivo è fondato sull'assunzione della propria inadeguatezza, non si farà altro che, attraverso le proiezioni, dimostrare che il nostro fallimento è inevitabile, mettendo in atto tutta una serie di strategie sotterranee e inconsapevoli per provocare il nostro auto-sabotaggio e poterne, in seguito, soffrire e incrementare il proprio senso di inadeguatezza. L'individuo entra in uno stato di difficoltà emotiva poiché non riesce ad interpretare correttamente i feedback e mutare l'esito delle proprie esperienze; di conseguenza, muta il proprio comportamento adeguandolo ai feedback che interpreta erroneamente e li manipola fino a farli diventare degli strumenti di conferma del proprio assetto emotivo. Come abbiamo già mostrato nel capitolo sulla ripetizione delle esperienze, reiterando un certo numero di volte un meccanismo, l'individuo può riuscire a compiere un'evoluzione, ma spesso essa risulta deviata dall'interferenza delle aspettative e delle proiezioni degli altri o della società, che l'individuo accoglie come proprie, ma che non riesce a distinguere, in quanto estranee al proprio vivere e sentire individuale (interferenza della collettività). In altre parole possiamo esemplificare che, se il mio bisogno evolutivo è di imparare a camminare e la mia piccola collettività mi pone anzitempo il problema per cui posso cadere e ferirmi, la mia capacità di compiere l'esperienza risulterà continuamente disturbata da paure non di mia produzione, ma inoculate proiettivamente dagli altri che spostano l'equilibrio delle mie emozioni verso la paura; questo determina una forte variazione delle mie priorità, che dapprima era imparare a camminare, e diviene poi l'evitare di ferirmi, mettendo in secondo piano il mio bisogno evolutivo di camminare. Per effetto del dinamismo emulativo del comportamento umano, la collettività struttura dei bisogni seduttivi (moda, tecnologia, soldi, ...) e dei valori sentimentali (felicità, giustizia, libertà,...); questo determina che tutti gli oggetti e le esperienze della nostra quotidianità siano graduati moralmente in una scala di priorità. In questo modo, si vanno a produrre proiezioni difformi dalla realtà e soprattuto dai bisogni reali dell'individuo; il soggetto sovrastima questi idoli e sogni della felicità che la collettività produce per garantirsi che gli individui compiano una serie di azioni, economiche, politiche e sociali. Il nostro bisogno primario è soprattutto, come abbiamo visto, quello di gestire la paura a livello relazionale: è questo il motore per cui assumiamo tutta una serie di codifiche comportamentali e seduttive; più il Superego si potenzia in modo abnorme e deforme, più l'individuo perde il contatto con le attivazioni spontanee dell'Ego producendo, di conseguenza, comportamenti poco soddisfacenti e poco atti a facilitare una qualsiasi progressione evolutiva. Che cosa possiamo fare per ridurre queste fratture? Innanzitutto, possiamo orientarci a riconoscere e individuare le proiezioni stesse e i loro funzionamenti. Poi, possiamo sviluppare analoga consapevolezza sugli stati emotivi che producono la distorsione delle proiezioni stesse. |
||
Sito di divulgazione e pubblicazione culturale |