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Non-Psicologica
 


Il modello emotivo

Con la definizione di modello emotivo andiamo a inquadrare una struttura composta e flessibile che si sviluppa nel tempo; questo “edificio” è costituito dall'insieme delle costruzioni trattate in altri capitoli. Possiamo raffigurarlo immaginificamente come un'automobile, dove la nostra percezione generale è subordinata alle caratteristiche peculiari del veicolo. Per veicolo intendiamo Ego (motore), Superego (sistemi di interfaccia), (pilota) e i vari dinamismi interpretativi-relazionali come le proiezioni, gli incastri relazionali “a pettine” e la realtà interpretata. In questa metafora, l'esperienza consolidata ed in divenire, che è la parte determinante dell'evoluzione, è relativa al tempo e muta le condizioni e il futuro del pilota. Chi fornisce il veicolo al pilota? Esso si genera per l'interazione di due fattori: la tendenza naturale a costruire il veicolo e la collettività (famiglia nucleare/famiglia estesa) che ne fornisce la morfologia linguistica e relazionale. Possiamo identificare questo contenitore come un trittico dove le tre aree hanno funzionalità diverse, e precisamente: mente, metacomunicazione-comportamenti e realtà.

Per la rappresentazione grafica del modello emotivo clicca qui.

Relazioni tra Ego, Superego e Sé

Nell'area della mente troviamo il triangolo Ego-Superego- che agisce con una spiccata autonomia e determina i processi evolutivi; questa zona è legata alla fisicità e alla fisiologia e contiene schemi evolutivi predeterminati (naturali). Queste tre componenti sono analizzate in altre pagine nella loro singolarità; specifichiamo adesso come avviene il loro meccanismo di interazione. Ego e Superego sono posti gerarchicamente in un sistema per cui il secondo agisce sotto la spinta del primo; il , che è l'area della memoria e quindi dell'identità fino a un dato momento di un individuo, invia segnali sia all'Ego, attivandolo, sia al Superego, per rispondere alla coerenza con i feedback esterni. I segnali inviati all'Ego sono in una direzione univoca, in quanto l'Ego, una volta attivato, interagisce direttamente con il Superego; invece, quest'ultimo, invia anche dei segnali di risposta al , in base ai quali quest'ultimo modificherà l'ampiezza della propria area della memoria e l'identità verrà condizionata, almeno marginalmente, aggiungendo nuova esperienza rispetto al dato momento precedente. L'Ego si attiva unicamente in seguito ai bisogni del che si basano sulla corrispondenza del feedback ambientale; se esso è coerente con le esperienze fino a quel momento elaborate, il flusso di attivazione dell'Ego sarà di minima portata e non vi saranno emozioni particolarmente intense a influenzare il filtro di lettura e di attenzione nei confronti dell'ambiente e dell'altro.

Il filtro di interpretazione della relazionalità, come abbiamo visto, è basato sul sistema normativo del Superego, che ha delle componenti come la strutturazione di un sistema rappresentativo individuale e altre sociali-linguistiche come le regole comportamentali, i linguaggi e gli apparati simbolici collettivi. Abbiamo definito il Superego come il filtro proiettivo che è l'interfaccia con cui il nostro nucleo psichico si mette in contatto con la realtà; esso è una sorta di Giano Bifronte, in quanto se da un lato è l'unico mezzo che abbiamo per percepire la realtà (l'unica alternativa sarebbe il sistema sensoriale diretto e animale ma è praticamente atrofizzato nell'uomo), dall'altro necessariamente ci impedirà di captare tutti i segnali per ciò che essi sono. Esso, infatti, determina cosa viene percepito e come viene percepito; similmente ai nostri sensi, avviene una sorta di selezione e interpretazione degli stimoli ricevuti. Per esempio, l'essere umano ha una gamma di percezione e lettura degli stimoli sonori molto ridimensionata rispetto a quella adottata da altri animali, come i pipistrelli che arrivano addirittura alla funzionalità del radar. Dove avviene allora che questo sistema fisiologicamente “deformante” genera una sofferenza e una impasse psicologica nell'individuo? Se il sistema proiettivo si basa su esperienze realmente vissute dall'individuo, avverrà un'elaborazione diretta, con possibilità di evoluzione e di fissazione nella stabilità emotiva, mentre se l'individuo è impossibilitato o non riesce a crearsi un vissuto esperito direttamente, somatizzerà e drammatizzerà le proprie lacune, sovrastrutturando i propri comportamenti in modo da alterare inconsapevolmente la percezione dei suoi bisogni reali. In altre parole, solo l'esperienza reale e diretta produce evoluzione ed elaborazione dell'identità; diversamente, abbiamo un crescere dell'emozione paura e, conseguentemente, la sovrastrutturazione di comportamenti a essa subordinati. L'esperienza viene quindi a inibirsi e a limitarsi impedendo lo sviluppo dell'identità.

Metacomunicazione e comportamenti

Le suddette attività del triangolo Ego-Superego- divengono azioni. Come avviene ciò? Le emozioni generano i sentimenti, che, a loro volta, producono comportamenti. Per fare un esempio, l'emozione della paura si traduce in un setting culturalmente e normativamente fruibile, per cui viene a focalizzarsi come sentimento (rabbia, ansia, inferiorità, inadeguatezza,...), che, legittimamente strutturato, verrà agito come comportamento socialmente riconoscibile. Ne risulta che, a seguito dei processi, nel Superego si identificano gli scopi e le azioni da compiere. Notiamo, quindi, che le azioni sono il diretto risultato della tipologia di codifica presente nel Superego e che gli obiettivi sono il diretto risultato del livello di esperienza del . Il risultato di ciò sta nel fatto che obiettivi e azioni sono quindi frutto del sistema proiettivo generatosi nel Superego, il quale ci fornisce la soluzione da agire e, inoltre, la previsione del successo dell'azione intrapresa. Questa filtratura nell'azione in uscita e le aspettative in essa contenute determinano anche la filtratura dei feedback di risposta al nostro comportamento; pertanto, le risposte che esulano da ciò che possiamo comprendere e da ciò che è coerente alle nostre aspettative verranno ignorate o deformate. Di conseguenza, abbiamo il realizzarsi di una distorsione della percezione della realtà e un'incoerenza tra gli scopi, le azioni e i feedback, che produrrà un ulteriore stimolo dal verso l'Ego e nuove emozioni obbligheranno nuovi scopi e comportamenti. Questo dinamismo, a prescindere da una sua connotazione in positivo o negativo, rappresenta un processo a cui l'individuo non può sottrarsi.

Oggi è ampiamente noto che la maggior parte della comunicazione è non verbale, e quindi più direttamente della verbale subordinata ai dinamismi emotivi e alle strutture linguistiche superegoiche. Di conseguenza, se nella comunicazione verbale e cognitiva l'individuo ha un certo grado di consapevolezza, nella dimensione metacomunicativa non verbale quasi sempre il soggetto non sa esattamente che tipo di segnali sta emettendo. Abbiamo quindi un divario tra la cognizione del nostro comunicare consapevole e la realtà comportamentale del comunicato, il quale condiziona in maniera qualitativamente e quantitativamente superiore le risposte di feedback che otterremo. Accade quindi che, inconsapevolmente, condizioniamo le nostre relazioni non in base agli obiettivi e agli scopi, ma in base alle emozioni che più direttamente determinano i nostri comportamenti inconsapevoli e metacomunicativi.

La peculiarità personale dell'acquisizione dei modelli emotivi comportamentali e sociali determina un setting che predispone le variabili su cui vengono a svilupparsi il Superego e le sue proiezioni. Ne consegue che i dinamismi emotivi sono il frutto della nostra peculiare formazione; il risultato è l'identità del . Nel Superego obiettivi e azioni, per condizioni psico-biologiche, si strutturano in comunicazione cognitiva consapevole e metacomunicativa inconsapevole, ma queste due dimensioni contengono molto più di quanto l'individuo sappia; accade perciò che, se da un lato noi identifichiamo un bisogno e ne produciamo la comunicazione coerente, dall'altro le nostre emozioni (paura e curiosità evolutiva) emergeranno nella comunicazione inconsapevole, condizionando in modo sostanziale l'effetto previsto dalle nostre aspettative. In pratica, se il mio scopo è conseguente a una paura, il mio atteggiamento consapevole probabilmente sarà coerente nell'intento di trovare rassicurazioni, ma la mia metacomunicazione genererà effetti di reazione che andranno ad aumentare la paura stessa. Abbiamo quindi quel fenomeno che, metaforicamente, possiamo paragonare all'eccesso di prudenza che genera incidenti così come la spericolatezza incosciente o, come spesso è definito in psicanalisi, la profezia che si auto avvera.

Accade perciò che, per effetto della ripetizione evolutiva e dello stato emotivo motore delle azioni in un dato frangente, le mie emozioni condizioneranno l'interazione, proiettando una realtà plasmata al punto da produrre ciò che io vorrei superare. Questa apparente monodirezionalità nel riprodurre anche le sofferenze è un sistema senza alternative, fino a che non si genera una nuova esperienzialità che, mutando le proiezioni di realtà, produrrà alcune alternative relazionali.

Non tutta la comunicazione consapevole e inconsapevole è subordinata alle emozioni primarie della paura e della curiosità evolutiva. Abbiamo infatti, parallelamente, milioni di comportamenti funzionali che, per effetto della stabilità dei loro feedback, non attivano processi emotivi particolari e non diventano fattori comunicativi degni di nota, pur mantenendo un carattere comunicativo peculiare e caratteriale. Accade quindi, in questi casi, che, analogamente ai processi con forte coinvolgimento emotivo, i meccanismi sono uguali, ma non verificandosi incoerenze con le aree esperienziali del , i comportamenti vengono agiti, i feedback sono coerenti e l'individuo in quel frangente mantiene una certa serenità. In questa situazione, scarsissima attenzione viene data ai feedback di ritorno. Quest'area “funzionante” non è meno interessante nel comprendere e nel riconoscere le nostre dinamiche emotive e comportamentali, in quanto alla comprensione di questa parte emergono risposte indicatrici valide nel comprendere anche le parti più incomprensibili e sofferenti. Per questo possiamo fare una riflessione, ossia: quando noi identifichiamo un problema, la drammatizzazione che ne consegue effettivamente ci aiuta nell'identificare la soluzione del problema? Oppure vuol dire spostare l'attenzione su un qualcosa che è l'effetto di qualcos'altro?

La realtà interpretata

Per effetto dell'interazione superegoica e dell'influenza che il Superego esercita sui feedback di interpretazione della realtà, abbiamo il configurarsi di uno scenario dove diviene reale ciò che è compatibile con il nostro sistema di filtri. Ogni componente della realtà che noi percepiamo come tale assume un valore funzionale, dove l'identità dell'oggetto reale assume rilievo in quanto contenuto comunicativo e anche simbolico. Ogni contenuto della realtà che noi percepiamo diviene portatore di una soddisfazione, in quanto l'oggetto o il fatto è nucleo emotivo comunicativo; questo processo diventa attivo non su tutte le situazioni o oggetti che noi viviamo, ma solo su quelli che noi inconsapevolmente riteniamo rilevanti, essi divengono misura di valutazione comunicativa e valoriale. L'oggetto diventa simbolico, quindi, quando rappresenta un'associazione tra esperienza e contenuti emotivi. Possiamo parlare di realtà come oggetti, situazioni o persone.

La realtà degli oggetti

Come già compreso, non tutti gli oggetti diventano simboli emotivi; quando entriamo in un negozio, per esempio, la nostra attenzione cadrà solo su una infinitesima parte della massa di oggetti che vedremo, in quanto tutti gli oggetti che in quel momento non sono “capaci” di esprimerci non andranno a generare alcuna soddisfazione nel fare emergere i nostri bisogni, pratici-emotivi o pratici-rappresentativi che siano.

La realtà delle situazioni

Non tutte le situazioni diventano emotivamente e moralmente simboliche; tra il continuo divenire degli stati d'animo di un individuo, solo in alcune situazioni si attivano processi emotivi rilevanti, in quanto in quel momento sono quei particolari fatti “capaci” di esprimerci; essi andranno a generare specifiche soddisfazioni nel fare emergere i nostri bisogni, pratici-emotivi o pratici-rappresentativi che siano.

La realtà delle persone

Non tutte le persone diventano emotivamente ed evocativamente simboliche; in qualsiasi situazione l'individuo si trovi, tra il continuo divenire delle sue relazioni, solo alcune persone attivano processi emotivi rilevanti, in quanto in quel momento sono quelle persone “capaci” di evocarci rappresentazioni di identità particolari legate al nostro vissuto. Le proiezioni che attuiamo su queste persone andranno a generare specifiche soddisfazioni nel fare emergere i nostri bisogni identitari, pratici-emotivi o pratici-rappresentativi che siano.

Concludendo, potremmo dire che, negli ambiti della nostra relazionalità, la produzione proiettiva di simboli avviene con l'evocazione dei processi emotivi legati alla codifica individuale superegoica, con la funzionalità del bisogno relazionale. Ogni volta che abbiamo una significante attivazione emotiva generata dalla proiezione su oggetti, situazioni o persone, sistematicamente lo comunicheremo ad altri. Avviene quindi che, nella complessità della codifica superegoica, la comunicazione diviene l'unica struttura in grado di rispondere ai bisogni e alle emozioni, siano esse evolutive o di paura. Questo quadro di comunicazione, come risposta ai bisogni, si funzionalizza in dinamiche relazionali, dove l'individuo agisce azioni e si aspetta dei feedback. Questo dinamismo si verifica a prescindere dal fatto che generi una soddisfazione di tipo positivo/gratificante o negativo/sofferente.

 

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