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Non-Psicologica
 

La morale e la funzionalità della distinzione bene/male

L'appello alla morale è un indice di disagio della persona.
Il valore morale individuale corrisponde all'effetto diretto della nostra inesperienza;
esso è l'indicatore della capacità di interazione relazionale dell'individuo.

Morale sociale e morale individuale

La morale si esprime nella valutazione di un oggetto/situazione/persona, con lo scopo di definire cosa è corretto e cosa non lo è. Tuttavia, nella mente si formano due tipologie di morale: una di tipo sociale e una di tipo individuale. La morale sociale è rappresentata dalle regole (leggi, bon ton, stereotipi, ecc.), con la funzione di limitare/gestire i rapporti umani al di fuori di se stessi e del proprio entourage. Le regole sociali hanno funzioni sociali; infatti, spesso sono in aperto conflitto con la percezione della propria libertà, che viene maggiormente percepita proprio quando viene negata. La percezione del “dovere” stesso identifica la distinzione funzionale tra la morale sociale e quella individuale. Infatti, nei concetti di “regola” e “dovere” si innesta una condizione di sdoppiamento della morale, dove l'individuo focalizza come sofferenza l'imposizione dei comportamenti moralmente e socialmente imposti.

A seguito di questo dualismo, l'individuo è indotto a produrre una morale interiore e personale, con la quale reagire/difendersi/distinguersi nella propria identità. Il peso degli obblighi del dovere tende a spingere l'individuo a trasgredire gli obblighi stessi; anche quando ciò non avviene, egli soffre comunque per la percezione del limite imposto. La persona accetta di buon grado i limiti della propria libertà quando essi sono stati elaborati contestualmente alle esperienze di vita, mentre tenderà a entrare in conflitto con i doveri più astratti e categorici. La morale individuale si genera quindi come schema di valutazione conseguente alle esperienze vissute e si arricchisce di contenuti e orientamenti condizionati dalla morale sociale. Ogni persona condivide, in modo più o meno sofferto, la morale sociale, mentre sviluppa quella individuale sull'elaborato del proprio modello emotivo. Le due morali talvolta entrano in conflitto, in quanto sono collocate in due diversi aspetti della nostra mente: quella sociale si può rintracciare nelle codifiche normative del Superego, mentre quella individuale nel sistema mnemomico del , in quanto scaturisce dall'esperienza elaborata.

La formazione della persona è tanto più stabile ed emotivamente equilibrata quanto più esteso è il suo bagaglio di esperienze compiute ed elaborate. L'identificazione del limite funzionale, nell'ampiezza del range di variabili nell'elaborazione di un'esperienza, fornisce alla persona la distinzione di ciò che è fattibile e di ciò che non lo è. In questa precisa dinamica di completamento dell'esperienza, abbiamo il formarsi della morale individuale. Essa è la sommatoria delle valutazioni sull'efficacia del comportamento nelle varie esperienze e nelle loro variabili.

Nella morale individuale, il binomio positivo/negativo è in grado di deviare la lettura della realtà. La genesi della morale individuale è legata allo sviluppo del modello emotivo individuale. Nella struttura del modello si ramifica l'orientamento esperienziale che l'individuo svilupperà nella propria esistenza. In questa programmazione sono sanciti i limiti e le possibilità di esperienza dell'individuo, a partire dalla mappa emotiva e dal relativo equilibrio tra curiosità evolutiva e paura. Comprendiamo quindi che, dove l'individuo sviluppa un'esperienza reale, concreta ed elaborata, egli percepirà la possibilità di essere efficace e ne avrà la certezza emotiva. Nelle situazioni dove la persona non riesce a concludere l'elaborazione dell'esperienza, essa può attingere per similitudine ad altre proprie esperienze elaborate. In queste situazioni, l'individuo percepirà la possibilità solamente ipotetica di essere efficace e non ne avrà la certezza emotiva. Possiamo sintetizzare sostenendo che, nell'ambito delle esperienze vissute completamente elaborate, l'individuo percepisce se stesso nell'ottica di un'efficacia verificata, mentre nell'ambito delle esperienze vissute non completamente elaborate l'individuo percepisce se stesso nell'ottica di un'efficacia preventivo-ipotetica. Come effetti dell'astrazione di un' efficacia preventivo-ipotetica abbiamo l'aumento del livello di paura (in assenza di certezza dell'efficacia del comportamento) e l'alterazione del proprio sistema proiettivo di interpretazione della realtà. Quando l'individuo ha paura è coattivamente spinto a cercare e a leggere i segnali esterni che confermano la sua paura. La condizione di stabilità emotiva legata all'efficacia verificata o la paura legata all'efficacia preventivo-ipotetica genera una rete di discernimento, che costituisce l'ossatura della morale individuale. Possiamo sostenere che, laddove l'individuo non può sviluppare, per limiti di modello, un'esperienza vissuta, dovrà adottare un sistema astratto (nel senso di non verificato ed esperito) di valutazione bene/male.

 

Morale e cultura

Le regole sociali, con il loro relativo contenuto morale, possono essere una valida risposta quando il sistema esperienziale individuale si trova a essere inefficiente o in crisi. Quindi, la persona che affronta un'esperienza di cui non ha avuto un precedente vissuto, per poterla gestire, deve appellarsi a ciò che la collettività ha già posto come corretto o sbagliato. La collettività si evolve in una prospettiva e funzionalità diversa rispetto a quella espressa dalle normative individuali. Le regole, i modelli, i linguaggi e gli stereotipi collettivamente condivisi si sviluppano per l'effetto di continui dinamismi, come imprevisti, contaminazioni, ideologie e influssi culturali tra le popolazioni. L'individuo, quindi, sviluppa la propria morale all'interno di un entourage che rappresenta solo una porzione della collettività, con la conseguente limitazione nella visione del senso valoriale della morale stessa. Assistiamo quindi a un marcato differenziarsi tra le morali individuali di chi vive in grandi città e le morali individuali di chi vive nelle periferie o nelle aree non urbanizzate. Lo sviluppo della morale individuale è, perciò, intrinsecamente legato al proprio entourage e alla propria identità consolidata nel modello emotivo. Viene quindi a costituirsi un valore differenziale tra la propria morale e quella sociale, che vede, da un lato la morale collettiva che si sviluppa e si orienta nell'integrarsi delle differenze culturali, dall'altro l'individuo che, finito lo sviluppo del modello emotivo, si trova a dover comunque continuamente integrarlo. Questa operazione integrativa del proprio modello emotivo e morale è assai impegnativa, poiché mette in discussione ciò che in passato è stato ritenuto valido ed esperito. In questo senso, si può sostenere che la morale una volta ritenuta assoluta, diviene relativa sia nel valore sia nel tempo.

La distinzione bene/male determina diversi risvolti di interazione tra cultura ed esperienza. Per cultura si intende l'insieme dei fattori educativi composti dalla formazione scolastica e usi/costumi nelle modalità relazionali, a prescindere dalla loro collocazione di costruttivo/distruttivo. Per esperienza, invece, si fa riferimento all'aspetto quantitativo del vissuto individuale, applicando i vari modelli culturali acquisiti. La cultura, nelle sue forme d'arte, è fortemente orientata alla focalizzazione di ciò che è bene e ciò che è male. Ogni autore, letterato e lettore indaga risposte positive o negative in merito ai fatti della vita, focalizzando la propria attenzione/intenzione sulla verità o giustizia delle cose.

Nella pratica del quotidiano, possiamo individuare che l'atteggiamento della persona utilizza e, contemporaneamente, soffre il giudizio morale come giudizio dell'Altro. Spesso, quando si compiono delle esperienze, si avverte il bisogno di condividerle, al fine di definirne il valore in un sofisticato rapporto tra la scala valoriale personale e quella collettiva. In questo senso, l'oggettivazione della propria esperienza diventa una forma negatoria per l'individuo. Egli è stato addestrato da un punto di vista educativo a richiedere il vaglio, la conferma e l'approvazione da parte del proprio entourage. Questo processo è vissuto come una necessità e, inconsapevolmente, diviene una condizione che si antepone allo sviluppo dell'individualità e dell'identità, compromettendone l'autenticità. Come abbiamo già sottolineato, la paura gioca un ruolo importante: più è elevata la sua attivazione, più l'individuo si spossessa automaticamente della propria identità e cercherà la valutazione morale. Le risposte della collettività sono raramente evolutive (con l'invito a ripetere l'esperienza): esse saranno nella maggior parte dei casi sommatorie e negatorie. Non a caso, come si sarà già intuito, la distinzione morale determina uno spostamento degli scopi, della percezione e dei risultati da una funzionalità lineare rivolta a soddisfare i bisogni a una non lineare rivolta a soddisfare la posizione morale stessa, lasciando frustrati i bisogni. In sintesi, l'individuo persegue una morale astratta e preventiva invece dei suoi bisogni concreti.

Morale e stereotipi

Per giustificare le nostre azioni, adottiamo determinati valori, alcuni ritenuti oggettivi, altri puramente soggettivi, altri ancora ricostruzioni culturali (stereotipi). A seconda della tipologia di valori adottati da un individuo, è possibile comprendere quali sono i suoi limiti esperienziali. La scala valoriale che una persona esprime nelle proprie scelte e nel proprio atteggiamento rappresenta l'orientamento pratico e operativo del proprio modello emotivo; essa guida la persona nel continuo inconsapevole scegliere tra ciò che è meglio e ciò che è peggio. Nel continuo trovarci in situazioni che ci portano a scegliere, si insinua nel nostro panorama una grande quantità di condizionamenti appartenenti alla morale sociale, che alterano la percezione e aumentano il livello della paura di sbagliare (senso di colpa). Questi condizionamenti interferiscono nel sistema valutativo, provocando nell'individuo un maggiore e generico bisogno di certezza. In questa analisi, emerge una condizione assai particolare, dove la morale sociale si caratterizza come un contenimento e un limite sostanziale allo sviluppo dell'identità. Infatti, la morale sociale si genera nel momento in cui la collettività non è in grado di contenere alcune spinte individualistiche, nell'ottica di fornire delle soluzioni uniformate. Le persone che inconsapevolmente hanno difficoltà emozionali vivono i loro problemi associati a un'implicita colpevolizzazione, dove, però, manca in effetti un vero colpevole. La lacuna esperienziale genera una sensazione di inadeguatezza. Quest'ultima rappresenta, nel sistema proiettivo, la dimostrazione della propria incapacità e, contemporaneamente, avviene la focalizzazione di una morale locale specifica (legata al singolo problema), secondo la quale noi siamo colpevoli di inefficienza (senso di colpa). L'individuo cercherà di riscattarsi da questa presunta inefficienza/colpa, attraverso pensieri e azioni scelti a questo scopo. Essendo che l'individuo soffre di una lacuna esperienziale, egli non può attingere al proprio bagaglio di esperienze per trovare un'indicazione efficace. Pertanto, egli sarà indotto a cercare nei modelli precostituiti proposti dalla struttura collettiva (stereotipi). In questa operazione, il senso di colpa opera una spinta trasversale che orienta le scelte dell'individuo verso l'espiazione della colpa per l'inefficienza, piuttosto che verso l'evoluzione dell'identità e il superamento reale della sofferenza.

Paradossalmente, focalizzarsi sul problema e sul conseguente senso di colpa all'individuo sembra preferibile al raggiungimento del benessere evolutivo; questo perché l'individuo, in una sorta di circolo vizioso, adotta gli stereotipi per compensare le proprie lacune esperienziali, ma non si accorge che, adottando come indicazione lo stereotipo stesso, devia il proprio bisogno di sperimentare. L'abitudine allo stereotipo è illusoriamente assunta dalla collettività come soluzione garantita alle difficoltà, e l'individuo la assume confidando nella sua efficacia. Questa attività si rivelerà, nel tempo, fallimentare, in quanto l'adozione degli stereotipi comportamentali non genera un'elaborazione esperienziale concreta. Tale adozione degli stereotipi si concretizza come insieme di comportamenti dei quali l'individuo vive le relative esperienze, ma, proprio per la natura impersonale dello stereotipo, queste esperienze non potranno dare il necessario completamento/elaborazione dell'esperienza legata alla lacuna emotiva da compensare. Ne risulta che l'adozione degli stereotipi, fallendo, induce l'individuo a reimpostare la propria attività per conseguire il benessere richiesto; egli si troverà allora nella condizione di adottare nuovamente le soluzioni garantite dagli stereotipi (reiterazione), instaurando la riproduzione inconsapevolmente coattiva del proprio modello emotivo e delle sue relative lacune. Questa condizione amplifica il problema stesso e non introduce alternative e variabili, verso le quali l'individuo, per lo stato emotivo acutizzato di paura, esercita proiettivamente una critica di impossibilità e difficoltà sovrumana. L'individuo, che dapprima identifica nel proprio successo il soddisfacimento dei bisogni, attua una “sovraidealizzazione” dei sistemi che egli riconosce come risolutivi del suo disagio e produce la tendenza a dissociare la realtà dalla realtà ideale. In questo quadro generale, fallendo nel tempo l'adozione degli stereotipi, la morale collettiva, che gli stereotipi rappresentano, entra in conflitto e si separa definitivamente dalla morale individuale. In questa condizione, l'individuo, deluso dall'inefficacia e dall'irraggiungibilità del benessere proposto dagli stereotipi, percepirà se stesso come vittima di un sistema che lo ha tradito/ingannato. A questo punto, egli vive una fortissima motivazione nell'indagare le condizioni antitetiche agli stereotipi come alternativa funzionale nel trovare risposte. L'individuo che si focalizza come vittima sviluppa una propria morale che lo legittima anche alle azioni più estreme, come il tradimento, la menzogna e l'ipocrisia. Assistiamo quindi al nascere di un uso inversamente funzionale della morale.

In questa prospettiva, l'individuo si trova a produrre diverse condizioni che si riveleranno conflittuali. Innanzitutto, si verifica l'aumento della sensazione di insicurezza rispetto alle proprie abilità di sviluppare il proprio futuro benessere, con il conseguente consolidarsi della percezione di sé come inadeguato (conflitto tra volere il benessere e dover compiere azioni). Avviene inoltre lo sviluppo di una tendenza negatoria rispetto a tutto ciò che non soddisfa direttamente il bisogno di certezza (conflitto relazionale), in uno spostamento della ricerca del benessere da una postura progettuale basata sugli stereotipi da conseguire a una, invece, basata sulla soddisfazione istantanea (conflitto egocentrico/narcisista). L'andamento prospettico descritto in questo paragrafo è indicativo di un flusso dove le dinamiche emozionali della paura spingono coattivamente l'individuo a identificare pensieri, obiettivi e azioni, senza riconoscere che esse sono attivate dalla paura stessa. Egli non si accorge di avere innescato un circolo vizioso, del quale può percepire il rischio di fallimento, ma non riesce comunque a identificare delle alternative che soddisfino il dinamismo di compensazione della paura sopra descritto. Quando l'individuo non può più perseguire i modelli e gli stereotipi assorbiti dal proprio entourage, egli dovrà cercare e trovare nuove e alternative identità.

La morale e la paura di sbagliare

La morale come postura relativa alle scelte quotidiane che una persona compie è definita da due tipi di atteggiamento mentale: una condizione in cui essa è conseguenza dell'esperienza vissuta rispetto a una scelta, e un'altra in cui invece è proprio la morale a fungere da guida per la scelta relativa all'esperienza. Ne risulta che, nel primo caso, l'individuo per scegliere si appella all'esperienza, mentre nel secondo usufruisce di un atteggiamento mentale di analisi e giudizio astratto e preventivo, che utilizza la morale per evitare errori. In quest'ultimo assetto, l'individuo pone, nelle proprie scelte, appello alla morale, ai luoghi comuni e agli stereotipi, a sostituzione di un'esperienza reale che non possiede. Possiamo affermare che, frequentemente, l'appello alla morale è un indice di disagio della persona; la paura contestuale di sbagliare dell'individuo si associa a questo “sintomo”. Si può riassumere l'effetto finale come una distorsione moralizzata e preventiva della realtà, che diventa una sorta di rappresentazione proiettiva dei bisogni e delle paure che la persona agisce. La combinazione tra la paura di sbagliare e il disorientamento dell'identità (lacune esperienziali) e dei suoi stereotipi genera il senso di colpa preventivo, ossia la raffigurazione anzitempo delle conseguenze, nell'ipotesi, assunta inconsapevolmente come certezza (poiché la si teme), che si sbagli. Le prospezioni che l'individuo produce ovviamente sono inscindibili dalle sue emozioni e, pertanto, assumeranno sistematicamente la forma dei fatti che l'individuo teme. Questo determina un preciso condizionamento emotivo che produce un circolo vizioso e continuativo. Con l'incremento di questo dinamismo, il soggetto inizia ad assumere degli atteggiamenti conseguenti e inizia a mutare i propri comportamenti, determinando a sua volta mutazioni nei comportamenti altrui (manipolazione involontaria). Possiamo concludere questo paragrafo inquadrando il valore morale individuale come l'effetto diretto della nostra inesperienza e collocando la nostra concezione di esso come un indicatore della capacità di interazione relazionale dell'individuo.

La morale e l'esercizio del potere

Tutti sappiamo quanto la morale sia legata alle leggi e ai regolamenti sociali; la sua funzione, in questo ambito, è di palese utilità e di indiscutibile valore. Come tutte le strutture complesse, la morale non manca di lacune e, precisamente, nella scarsa flessibilità rispetto all'evoluzione degli usi e costumi della collettività. Questa macrostruttura che l'individuo percepisce e anche subisce rappresenta un modello che offre risposte a un determinato tipo di problemi. Come è noto, i rapporti umani sono strutturati nella funzionalità di scambiare attenzione, affetto e comportamenti significativi, caratterizzati nella modalità da una gamma di sfumature che va dall'altruismo alla mercificazione. Nei comportamenti relazionali di un entourage, troviamo una particolare complessità di scambi; nella necessità di ottenere dei comportamenti funzionali dai membri, il sistema della morale e relativa colpevolizzazione offre delle scorciatoie e dei percorsi di pratico uso. Troviamo così, in diversi ambiti, l'applicazione di strutture morali preconfezionate, come per esempio le gerarchie professionali, quelle religiose e, infine, quelle familiari. La nostra attenzione si concentrerà su quest'ultima area, comprendendo la funzionalità e le lacune dell'esercizio del potere morale nel nucleo familiare. Che sia di tipo patriarcale o matriarcale, l'atteggiamento del rispetto, che viene dato e che viene riconosciuto, assume un orientamento bivalente; da un lato troviamo il rispetto relazionale, dove le persone si considerano e si riservano degli atteggiamenti valorizzanti di stima e accettazione reciproca; dall'altro, troviamo il rispetto come forma di esercizio della supremazia anche gerarchica. Pur trattandosi di posture, dove l'aspetto morale è dominante, nel secondo caso la raffigurazione del rispetto si commuta in una dinamica negatoria, dove abbiamo l'individuo prevalente che, in forza della sua posizione, esercita una pressione su chi è subordinato, contestualmente chi è subordinato, legittima con i propri comportamenti l'eserciziodi potere che riceve.

È noto come, fino al secolo scorso, l'anziano esercitava il potere oltre che l'autorevolezza, a prescindere dall'effettiva correttezza di questo esercizio. Nella famiglia moderna, l'esercizio del potere attraverso la morale si esplica in alcuni comportamenti caratteristici: il ricatto affettivo, l'attivazione dei sensi di colpa, la competitività inconsapevole e l'autorità economica familiare. Il sistema delle valutazioni bene/male, giusto/sbagliato, colpevole/innocente diventa, all'interno della famiglia, un sistema di graduazioni nel quale ciascuno può identificare il proprio valore. Assai frequentemente assistiamo che, con il variare delle condizioni emozionali di ciascun individuo, mutano pesantemente anche le condizioni morali nella valutazione dei comportamenti. L'uso strumentale del potere morale che viene esercitato all'interno della famiglia è di difficile collocazione, poiché quest'area è permeata di consuetudini, abitudini e convenzioni che nascono e si sviluppano in maniera molto personalizzata. Tuttavia, per comprendere dove e come viene esercitata questa forma di potere, ci possiamo avvalere di una precisa sensazione: il senso di colpa. Dobbiamo ricordare che esercizio del potere e senso di colpa non vanno intesi come qualcosa di negativo, ma di relazionale, avulso da una visione dove vengono definiti “giusti” o “sbagliati”. Il senso di colpa ci dice che si sta nuotando nelle acque della negazione. Questo sentimento, da non confondere con un'emozione, esiste in funzione di una dinamica comportamentale che ha discriminato moralmente i fatti o le azioni. Questo particolare sentimento alcune volte può sembrare autoprodotto, ma non dobbiamo farci trarre in inganno: la sua presenza ci indica chiaramente che nell'individuo è avvenuta una trasposizione proiettiva, dove la condizione morale si è evocata per effetto di un'educazione specifica, con specifici assetti morali.

Nella collettività, è facile assistere a comportamenti e atteggiamenti a fortissima caratterizzazione morale. Quest'ultima, nella maggior parte dei casi, viene espressa nei metacomportamenti e nei metacomunicati, definendosi come giudizio positivo o negativo. L'effetto della metacomunicazione è molto pervasivo, e la persona che lo subisce non può sfuggirvi. Questa condizione relazionale, dove una persona esprime, anche inconsapevolmente, un giudizio e l'altra lo subisce, si caratterizza per una forte alterazione emozionale in ambo i soggetti. Il giudicante diviene tale sotto la pressione di un coinvolgimento emotivo, anche nel caso in cui si tratti di un'evocazione narrativa indiretta. Il giudicato tenderà a sentirsi collocato in accordo o in disaccordo rispetto al giudizio espresso, ma questo non lo solleva dalla medesima pressione emotiva a cui è sottoposto anche il giudicante. In altre parole, a un'attenta osservazione, si evidenzia che la condizione morale è sempre associata a una repentina elevazione di pressione emotiva, evocata dalla paura di fatti ed eventi condivisi anche se solamente ipotetici.

Possiamo riconoscere due aspetti: lo stato emotivo, rappresentato dalla paura che viene a evocarsi, e lo stato reattivo, dove, nel bisogno di lenire la paura, ci si appella alla visione comune della morale. L'esercizio del potere attraverso la morale assume talvolta una particolare dinamica, nella quale formalmente l'individuo non esprime una moralizzazione diretta, attraverso giudizi rivolti all'esterno, ma attua una forma di autogiudizio autocolpevolizzante. Questa inversione di postura, nella quale la persona sancisce la propria colpa, sortisce degli interessanti effetti nelle relazioni umane. Quando una persona si colpevolizza per qualcosa, innesca una pressione emotiva su di sé, e, contemporaneamente, pone l'interlocutore nella posizione di giudice, nel valutare la correttezza della colpevolizzazione del soggetto che la agisce. Il giudicante, chiamato in causa suo malgrado, subisce un'analoga pressione emotiva nel dover coattivamente rispondere alla richiesta di giudizio. Ne consegue che questo dinamismo relazionale trascende l'effettivo valore morale dei fatti e delle situazioni, e diviene un esercizio di pressione emotiva, alla quale il soggetto chiamato a giudicare tenderà a difendersi. Costui non ha che due scelte: confermare la colpevolezza autoattribuita dal richiedente oppure alleggerire la situazione sdrammatizzando e sminuendo il valore morale del giudizio stesso. La prima scelta del confermare la colpa genera un forte aumento della pressione emotiva sul soggetto, che tenderà a sentirsi in colpa per l'esercizio del giudizio effettuato, in quanto egli è una persona che è obbligata a giudicare un qualcosa di cui non sarebbe legittimata a dare un giudizio. La seconda scelta della sdrammatizzazione, invece, nasce come sistema di difesa dall'aumento di pressione emotiva ed esercita un effetto lenitivo su ambedue le persone, tendendo a sviluppare empatia. Per questa particolare condizione, nella maggior parte dei casi viene scelta la seconda opzione. Non è affatto raro assistere all'uso strumentale dell'autocolpevolizzazione come comportamento di cui il soggetto conosce già l'esito; in questi casi, si può parlare di tendenza alla manipolazione. Qualora il giudicante passivo intuisca la postura manipolatoria del soggetto autogiudicante, assisteremo a una variazione delle pressioni emotive e relative variazioni del livello di assoggettamento a questa manipolazione.

Morale ed etica

L'etica riguarda il carattere e l'azione. Nel naturale processo mentale dello sviluppo dell'identità, prima viene compiuta l'esperienza, quindi la formazione di un'etica e, solo successivamente, una distinzione morale come spiegazione di pensiero. In presenza di esperienza elaborata, la morale cessa completamente la sua funzione, in quanto si seguono le norme comportamentali esperite. L'azione assume sempre, contemporaneamente all'aspetto funzionale del comportamento, anche un valore comunicativo, che produce una serie di effetti impliciti e proiettivi.

Esiste un'alternativa alla distinzione bene/male. Essa consiste nel ricollocamento nella scala valoriale dell'etica e della morale. Il valore supremo nello sviluppo dell'identità è rappresentato dal sistema etico e la condizione morale non rappresenta un'altrettanto valida risposta. La fede nel valore morale delle cose e dei fatti ha finora determinato i più grandi misfatti storici e individuali. Dobbiamo ricordare che l'uso sistematico e ipertrofico della distinzione bene/male produce la grande maggioranza delle patologie mentali. Per quanto riguarda il nostro approccio terapeutico, dismettere e decostruire l'impianto della morale è esattamente la fase propedeutica all'individuazione di tale alternativa. Quest'ultima consiste nell'individuazione dei bisogni autentici dell'individuo e il conseguente orientamento esperienziale. L'individuo non potrà infatti completare lo sviluppo della propria identità, che è ineluttabilmente basata sul proprio modello emotivo, se non agirà innanzitutto nell'ottica di rompere i propri schemi mentali e stereotipati.

 

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