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L'esercizio del potere

Le interazioni umane sono permeate continuamente da un altalenare di valutazioni morali, di merito, di adeguatezza e di strutture relazionali imperniate su un'inconsapevole supremazia. Pertanto, l'individuo naviga con una mappa delle soddisfazioni che cerca, come, per esempio, le proprie credibilità, autorità, apprezzabilità e utilità: riassumendo, quel concetto che, superficialmente, chiamiamo autostima (misurazione di sé). Proprio per la sua natura di misurazione di sé, l'autostima fa già parte di un sistema valutativo morale e negatorio. Perché possiamo definirlo competitivo? L'individuo continua a confrontarsi e quindi a valutare la propria posizione se superiore o inferiore, adeguato o inadeguato, dove la soddisfazione si genera e si sposta nella rappresentazione nella quale “essere ok” è la soluzione alle proprie esigenze. Perché morale? Nel continuo attuarsi di misurazioni e confronti, l'individuo spesso si trova a valutare situazioni di cui non ha un'esperienza diretta e, in conseguenza, sviluppa una rappresentazione astratta nella quale egli configura i valori etici e morali, determinando una certa quantità di moralizzazioni che influenzeranno più generalmente l'insieme della sua visione. Perché negatorio? Ogni atto di valutazione che produce la rappresentazione della realtà con lo scopo di lenire la paura diviene un “pacchetto proiettivo” chiuso, con il sigillo valutativo di “migliore” o “peggiore”. In questo quadro, le attività di misurazione dell'autostima, dato che hanno un secondo scopo di dover compensare una sensazione di lacuna, diventano un fenomeno discriminatorio e quindi negatorio di tutto ciò che non è a sostegno della propria autostima, in una superficiale inconsapevolezza conclusiva/esclusiva.

Le attività di confronto spesso prediligono un dialogo, ossia un sofisticato intreccio di comportamenti, dialettiche e ideologie, da condividere e nelle quali attuare dinamismi seduttivi e competitivi. Di conseguenza, vengono a generarsi complesse gerarchie composte di molti fattori e molti segnali (stima reciproca, subordinazione, accettazione,...), in un sistema in cui, in una panoramica leggermente più da lontano, uno dei due individui esercita un potere, l'altro lo legittima o si sottomette. Questi agglomerati comportamentali hanno una forte componente emotiva e affettiva, che stabilizza anche gli squilibri relazionali interni e li rende accettabili sia per il soggetto sottomesso sia per quello dominante. Spesso le relazioni si basano sulla comunicazione verbale dai contenuti razionali, dal chiacchierio superficiale alle competizioni intellettuali più articolate. La dimensione verbale che in genere viene stimata come primaria, quando si struttura nell'esercizio del proprio piccolo e delicato potere, diviene una forma di ginnastica intellettuale, in un continuo misurarsi di competenza e bravura nell'“avere ragione”, nell'ideare la battuta più divertente, nel citare l'aneddoto più appropriato, nel dare interpretazioni sempre alternative e originali. Questo fenomeno che, nella relazionalità del quotidiano, trova facilmente un equilibrio, per molte persone non è bastante e l'individuo sente una fortissima esigenza di espandere la percezione di sé ben oltre le conferme che riceve dalle persone che frequenta abitualmente.

Ecco che la persona cerca consensi di scala superiore, quindi collettivi, in gruppi più o meno espansi di persone. Nelle attività di gruppo l'esercizio del potere assume diverse forme, ad esempio il potere della vittima, quello dell'aiuto (il missionario in senso lato), del politico, del culturale e dello spirituale. Il senso compensativo nelle attività del “potere” non è da collocarsi in una visione di giusto o sbagliato, di problema o soluzione, ma unicamente come tentativo di compensazione di una spinta generata da un modello emotivo basato sulla seduttività e sulla competitività.

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