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La razionalità e il suo potere

La razionalità (dal latino ratio, cioè ragione, motivo, senso) inizialmente indicava la facoltà di produrre discorsi argomentativamente corretti e coerenti; basti pensare alla Logica di Aristotele (logos: parola intesa come ragione), dove si espone la consequenzialità ferrea del sillogismo deduttivo. Nell'antica Grecia, la razionalità veniva intesa come un principio regolatore del mondo; questa visione viene poi assunta anche dal successivo Cristianesimo, che dal mondo ebraico aveva invece ereditato una matrice più volontaristica. Nel mondo contemporaneo, la complessità della convivenza tra diverse culture ed etnie e la densità demografica amplificano fenomeni relazionali che già nei secoli scorsi non potevano verificarsi, in parte per la struttura gerarchica della collettività, in parte per la mancanza di uniformità nella distribuzione della cultura. Questa amplificazione in qualche modo ha determinato lo spostarsi delle domande esistenziali e dei comportamenti a esse correlate verso le fasce popolari. Questa traslazione è stata operata sui grandi numeri principalmente dai media contemporaneamente con intenti culturali e scopi commerciali. In questa enorme modificazione culturale e sociale, la scolarizzazione ha fatto la sua parte con l'offerta letteraria, quasi per la totalità orientata su un modello culturale vittimista, eroico e sacrificale (questo soprattutto in Italia e parzialmente nei paesi di origine latina).

Contestualmente al nascere di un superficiale esistenzialismo popolare, si sviluppano analoghe e popolari ideologie. Nel momento in cui, con gli anni Sessanta-Settanta, si “discute di filosofia al bar” si sviluppano forti dinamismi competitivi privi di un concreto sostegno culturale ed esperienziale. In altre parole, assistiamo al diffondersi di un approccio analitico-critico di superficie, dove l'aver letto un libro diviene la legittimazione a schierarsi pro o contro una determinata questione. La spinta esistenziale ha prodotto un forte incremento di idee e risposte che oggi vediamo essere state molto confuse e banalizzate. Questo enorme flusso di pensiero ha prodotto indirettamente una fiducia smodata sulla capacità della mente di dare risposte oggettive e capaci di lenire quel “mal di vivere”. La razionalità come logica e, quindi, come verità è stata assunta come un qualcosa di certo. Laddove nelle sfere intellettuali con il postmoderno si demolivano i concetti di verità, di soggetto e di oggettivazione, lasciando al massimo una concezione di razionalità strumentale o procedurale, nelle masse sempre di più si è ricorso alla legittimazione e alla fiducia sulla potenza della razionalità.

Analizzando più in dettaglio come la persona oggi utilizza la razionalità, possiamo osservare che la fede nel suo potere è altissima; la persona spera, attraverso approfondimenti cognitivi sulle tematiche della mente, di acquisire quelle informazioni “tecniche” che cambino il proprio inconscio. Da diversi anni spopolano libri di manualistica e di self-help con l'intento di dare risposte immediate, rapide, sicure. Purtroppo, però, la sola acquisizione di informazioni non produce il risultato sperato. L'approccio razionale induce l'individuo a produrre una sequenza mentale in cui la prima fase consiste nell'oggettivare il disagio in un qualcosa di noto (stereotipi); segue un'articolata attività di acquisizione di cognizioni, basata su fonti arbitrarie che vanno dall'astrologia all'olistica, fino alla più sofisticata psicoanalisi, producendo una formulazione di ipotesi e probabilità, in modo da comporre la definizione del problema e la sua relativa pertinenza. Una volta generata questa complessa rappresentazione intellettualizzata della propria difficoltà, l'individuo sviluppa percorsi per risolvere il problema, che, prevedibilmente, hanno un preciso orientamento che spazia tra il modello eroico-sacrificale e il rassegnato-vittimistico.

In altre parole, assistiamo a un dinamismo nel quale la persona costruisce e segue una propria intuizione terapeutica, che si costituisce e sviluppa in base alle informazioni che ottiene e accetta. La complessa ed estesa offerta di approfondimenti e letteratura specifica offre oggi risposte “per tutti i gusti” e l'individuo si orienta secondo una propria intuizione (dinamismo proiettivo). Per la stessa ampiezza di offerte, l'individuo attua una continua selezione dei contenuti, condizionando inconsapevolmente l'evoluzione della propria di autodiagnosi e perfino la diagnosi dei consulenti ai quali si rivolge. Viene quindi a prodursi uno schema in cui la razionalità sancisce dove e cosa cercare per identificare “il problema” e dove e come cercare soluzioni. Purtroppo oggi sappiamo che le dinamiche emotive alterano e condizionano la percezione della realtà, definendo una deviazione della propria capacità intuitiva e razionale, disorientando sostanzialmente la capacità di identificazione dell'origine del disagio e della sofferenza. La razionalità, nell'orientamento terapeutico, conduce l'individuo a comportamenti performanti (dinamismi eroici e dinamismi sacrificali), con percorsi e obiettivi destinati a tradirlo. Al contrario, per focalizzare correttamente la sorgente delle sofferenze, è necessaria una destrutturazione delle proprie rappresentazioni proiettive e la corretta identificazione delle dinamiche emozionali sottostanti.

 

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