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Comportamenti e dinamismi seduttivi

Ogni nostra percezione, ogni nostra interpretazione, ogni nostro orientamento, ogni nostro segnale comportamentale ha uno scopo funzionale, a prescindere da quanto ne comprendiamo il senso. A governare il nostro sistema psicoemotivo, quindi, è una logica di tipo funzionale. La funzionalità di cui stiamo parlando è relazionale, ossia sviluppare, condizionare, ottenere qualcosa nel rapporto con gli altri. Questa univocità di senso relazionale è costituita dal tipo di “addestramento” che l'individuo riceve nella propria comunità. Pertanto, a diversi ceppi culturali corrispondono differenziazioni nell'ambientazione e nel linguaggio relazionale del singolo individuo.

Nell'educazione/addestramento comportamentale si viene a determinare che l'individuo diviene in grado di effettuare una misurazione e di sviluppare una consapevolezza di quanto egli si sente riconosciuto o accettato socialmente, attraverso i feedback di tipo collettivo. A differenza dei sistemi primitivi, dove la gerarchia si strutturava secondo regole elementari come la prestanza e la territorialità, nell'uomo evoluto i parametri si sono ampiamente sofisticati e sovrastrutturati in un linguaggio relazionale assai più complesso. Questa complessità rende insufficienti le abilità primarie dell'individuo nel riconoscersi e percepirsi all'interno della comunità, sia nel proprio ruolo sociale sia nella percezione del proprio valore e delle proprie capacità. Ne consegue che, a differenza del mondo primitivo, la parola e i comportamenti hanno sviluppato una sofisticata rete di discriminazioni, con lo scopo di selezionare e comprendere le forme sociali da adottare. Per discriminazioni si intende il criterio di valutazione morale (bene/male, positivo/negativo) con cui governiamo o pensiamo di governare le nostre scelte e quelle degli altri; esso risulta sistematicamente arbitrario e soggetto al relativismo culturale. Questa condizione, dove l'individuo vive delle contraddizioni nella scala valoriale e nei feedback che riceve dalla collettività, determina una significativa e importante alterazione del livello di realismo dell'attività proiettiva.

È facile intuire che un individuo si ritrova inconsapevolmente a soffrire il continuo confronto tra sé e gli altri, nel bisogno di individuare il proprio valore, ma l'incoerenza dei feedback che riceve in risposta lo disorienta e ne acuisce e drammatizza una percezione di sé distorta. In questo panorama, nell'individuo si accresce la necessità di agire comportamenti ancor più focalizzati per collocarsi e rendersi individuato socialmente. Tuttavia, essendo che questi comportamenti scaturiscono da un dinamismo attuato verso la collettività, l'individuo involontariamente separa e/o confonde i propri bisogni dal bisogno di individuazione sociale. Questo processo diviene spesso dominante nel comportamento delle persone, che antepongono l'individuazione sociale ai propri bisogni individuali. Questo spostamento della focalizzazione che l'individuo attua verso l'esterno (i feedback sociali) comporta due importanti condizioni nella percezione di sé: l'amplificazione del bisogno di sentirsi socialmente collocati (titolo di studio, professione di prestigio, conseguimento degli status o relativi opposti come emarginazione, dipendenze, condotte sacrificali) e la negazione dei propri bisogni individuali (negatorietà verso se stessi). Con l'adozione di questa diversa scala valoriale l'individuo aumenta drasticamente il livello della propria sofferenza, che sia consapevole o meno. È facile notare come nelle forme e culture sociali più primitive l'individuazione dei propri bisogni è un processo primario non contrastato e disorientato dai feedback che la collettività restituisce all'individuo. Nei paesi fortemente civilizzati, invece, assistiamo a un dinamismo assai sofisticato che induce la persona a soffrire la difficoltà di sentirsi importante e riconosciuta dal proprio entourage.

In questo percorso, dove l'individuo antepone la rappresentazione di sé e il riconoscimento sociale ai propri bisogni reali, osserviamo che egli attua una notevole profusione di comportamenti specificamente finalizzati; questo ci porta a comprendere che una grande attività emotiva, di pensiero e comportamentale nasce e si sviluppa unicamente allo scopo di ottenere i feedback sociali, a prescindere dalla realtà fattibile e conseguibile per l'individuo. Potremmo dire che assistiamo al nascere di comportamenti finalizzati a ottenere dei feedback in un loop automatico e senza un vero scopo. Chiameremo questi dinamismi del comportamento e relazionali “seduttività”. Il quadro dei comportamenti seduttivi non si colloca in specifiche fasi dell'età dell'individuo, ma fa intimamente parte del modello emotivo primario. Pertanto, questi dinamismi sono omogeneamente distribuiti sia nelle fasi di integrazione del modello stesso come durante la pubertà e l'adolescenza, sia nell'adulto nelle attività proiettive e rappresentative di sé. Per questa ragione, la distinzione tra i dinamismi seduttivi subordinati al feedback sociali e quelli più autenticamente legati ai bisogni individuali è piuttosto difficile da marcare.

Possiamo quindi identificare il fatto che le attività relazionali contengono implicitamente una certa quantità di atteggiamenti seduttivi. Essi sono funzionali e non collocabili nel discrimine morale “positivi/negativi”. Comprendiamo ora che per seduzione si intende qualsiasi attività relazionale che l'individuo attua, laddove, nella visione stereotipa errata, l'universo della seduttività è drasticamente ridotto alle componenti sentimentali, sessuali e amorose. Nei dinamismi relazionali seduttivi, che l'individuo sia attivo o passivo, che egli agisca un comportamento per attirare l'attenzione o che sia colui che la deve dare, in ogni caso si è coinvolti in questo tipo di scambio. In questa configurazione, l'alternarsi delle emozioni primarie e secondarie (sentimenti) determina l'effettiva comunicazione relazionale con seduttività “diretta” o “conflittuale”. Quando domina l'emozione della curiosità evolutiva, l'individuo agisce una seduttività lineare e diretta nel ricercare e ottenere i feedback; quando invece domina la paura, l'individuo attiverà una certa dose di conflittualità. Contrariamente a molti modi di pensare, la conflittualità, frequentemente, diventa propriamente un “sistema” seduttivo dove, proprio attraverso il conflitto, l'individuo ottiene le attenzioni e gli scopi che inconsapevolmente persegue.

La seduttività è da intendersi come quella moltitudine di comportamenti sempre derivati da un bisogno e, pertanto, sempre attivati da emozioni. I comportamenti seduttivi sono caratterizzati da una funzionalità diretta, ossia ottenere un dato tipo di risposta o comportamento a conferma del modello emotivo che l'individuo sta elaborando e/o reiterando. In altre parole, un comportamento seduttivo si attiva unicamente in presenza di una situazione in cui l'individuo rileva il bisogno di verificare la relazionalità e/o di integrare la percezione di sé nel contesto della situazione, la quale contiene delle condizioni che egli non percepisce come definite. Le dinamiche seduttive possono essere sia valorizzanti sia depotenzianti, a prescindere dal ruolo che il soggetto assume all'interno di questo meccanismo. La scelta che l'individuo attua nella propria attività seduttiva è legata al tipo di obiettivi dove, a determinare la valorizzazione o il depotenziamento, è precisamente l'addestramento emotivo che l'individuo ha ricevuto durante la sua personale storia. Quando un individuo impara che attraverso l'efficienza ottiene attenzioni e gratificazioni, egli adotterà meccanismi seduttivi basati su quel modello efficiente e qualitativo. Parimenti, se nella sua storia l'individuo ha ottenuto più attenzioni quando agiva dinamismi conflittuali o vittimistici, tenderà ad adottare questi orientamenti come modelli seduttivi. Le dinamiche seduttive si attivano fino a che l'individuo non ha saturato il bisogno di completare una determinata esperienza relazionale; quando questo accade, cessa l'attivazione emotiva, quindi cessano anche tutti i comportamenti a essa subordinati e l'individuo svilupperà indifferenza verso quel tipo di situazione. Proviamo a comprendere ora le caratteristiche delle varie tipologie delle dinamiche seduttive più frequenti: quelle valorizzanti, quelle conflittuali e quelle vittimistiche.

I comportamenti seduttivi a orientamento valorizzante si basano su un modello di addestramento ricevuto che vede una discriminazione delle attenzioni sulla base della qualità dell'azione; quando l'azione è buona e valorizzante, l'individuo riceve una certa massa di attenzioni; se egli agisce un comportamento non buono o svalorizzante ne riceve uno scarso quantitativo.

I comportamenti seduttivi a orientamento conflittuale si basano su un modello di addestramento ricevuto che vede una discriminazione delle attenzioni sulla base della qualità dell'azione; quando l'azione è conflittuale, l'individuo riceve una certa massa di attenzioni; se egli agisce un comportamento non conflittuale ne riceve uno scarso quantitativo.

I comportamenti seduttivi a orientamento vittimistico si basano su un modello di addestramento ricevuto che vede una discriminazione delle attenzioni sulla base della qualità dell'azione; quando l'azione è depotenziante, l'individuo riceve una certa massa di attenzioni; se egli agisce un comportamento valorizzante ne riceve uno scarso quantitativo.

Perché l'essere umano deve adottare dei comportamenti seduttivi? Perché gli altri esseri viventi non sono così permeati di bisogni seduttivi? La risposta a queste domande sta nel fatto che la collettività umana è sovrastrutturata di regolamenti e di linguaggi e l'individuo, pur comprendendone solo in parte il senso, vive una sensazione di inadeguatezza latente che deve compensare. Nell'addestramento dei figli, il genitore agisce fin dalla più tenera età nel gettare le basi di una struttura emozionale nella quale sono già definite le zone stabili e quelle lacunose sulla percezione di sé, con relativi comportamenti compensativi.

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