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I simboli nella realtà relazionale e in quella onirica Un'introduzione storica Il simbolo (dal greco symbolon, ossia letteralmente “mettere insieme”) è un componente del processo comunicativo che è stato interpretato in diverse modalità, atte inoltre a distinguerlo con altri elementi comunicativi dalla forma piuttosto simile, come il segno, il segnale, l'allegoria e la figura. Per la tassonomia tradizionale esso può essere suddiviso in due tipologie: quella convenzionale, oppure quella analogica; in entrambi i casi, è opportuno notare che si stanno considerando simboli validi universalmente, che, come vedremo, non sono certo gli unici a dover essere analizzati al fine della comprensione del processo di simbolizzazione psichico di un individuo. Nella storia della psicologia e della psicanalisi, uno dei pionieri nell'analisi dei simboli è stato senza dubbio Freud con la sua “Interpretazione dei sogni” (1900), laddove ovviamente si tratta di simboli onirici e della loro decifrazione come contenuti significanti per il soggetto considerato. Jung, allievo “eretico” di Freud, amplia la rilevanza del simbolo per quanto riguarda la teoria psicanalitica, ritenendo che dalla funzione simbolica non dipendano solo i sogni, ma anche la religione, l'arte, il mito, le favole, in una sorta di inconscio collettivo al quale può accedere ogni singolo individuo. Inutile dire che si è acceso un profondo dibattito tra queste scuole di pensiero; in questo presente lavoro considereremo nello specifico solo le due sopra citate, anche se ovviamente si sono poi stratificate storicamente altre interpretazioni (per esempio, il processo di simbolizzazione infantile nella teoria della costituzione dell'oggetto in Melanie Klein). Già per Jung l'interpretazione del simbolo non può essere univoca, come vi fosse un codice di significati da applicare rigorosamente e senza variabili ermeneutiche. Di certo, fondamentale è il contesto in cui il simbolo si presenta; esso è infatti collocato nella totalità di una situazione, ed essendo un elemento comunicativo-indicativo sarebbe riduttivo e scorretto tentare di interpretarlo come fenomeno isolato e non, piuttosto, come componente in relazione. Anche per questo, è inevitabile riconoscere che l'interpretazione del simbolo è ambigua, ma non necessariamente in un'accezione negativa; infatti, ciò significa che ogni simbolo offre una grande varietà interpretativa e di significato. Il simbolo non è d'altronde come un qualsiasi termine impiegato nel linguaggio che ha un significato univoco e razionale; il simbolo ha il compito principale di alludere ed evocare, rimettendosì così anche a una chiave d'interpretazione non cognitiva, bensì emotiva. Già Jung ha una visione del simbolo molto più simile a quella esposta in questo lavoro, ossia che il simbolo può essere individuale e quindi dipendere dall'unicità delle proprie esperienze (in questo senso, esso si distingue invece dall'archetipo). Il simbolo, per Jung, non è un contenuto inerte della coscienza, o dell'inconscio, ma è un atto creativo della psiche nella sua totalità e, soprattutto, individualità (su questo si baserà anche la psicanalisi esistenziale sartriana, che nella sua originalità tenterà anche di abolire l'obsoleto concetto di inconscio). Se da un lato la pratica terapeutica junghiana si avvicina maggiormente al paziente (che deve in prima persona aiutare l'analista a comprendere i suoi simboli, e non si limita semplicemente a ricevere come un giudizio l'interpretazione psicanalitica), dall'altro si richiama al concetto di simbolo onirico proprio del Romanticismo, laddove autori come Holderlin o Novalis consideravano il sogno o l'incosciente come momenti di un disvelamento di una verità altrimenti celata al quotidiano raziocinio. Si arriva fino alla poetica simbolista, dove per Baudelaire la natura è un tempio di significati, riconoscibile in un linguaggio simbolico universale, ma che al contempo s'incarni nell'esperienza del singolo poeta. Al di là dello sviluppo culturale del simbolo, per noi basterà porre l'accento sul suo carattere individuale di matrice junghiana, in contrapposizione con quella decodificazione sterile che è la corrispondenza, quasi come in un vocabolario che traduce da una lingua all'altra in modo pressoché univoco, dell'interpretazione simbolica freudiana (anche se poi andrebbe riconosciuta la differenza insita tra simbolo e rappresentazione del simbolo, che invece è più legata alla psiche individuale). Contrariamente alle teorie psicanalitiche più diffuse, è il nostro modello emotivo individuale che ci guida e determina l'acquisizione o meno degli stereotipi e degli schemi comportamentali e linguistici attinti dal bacino culturale, e non viceversa. Se fosse il contrario, infatti, sarebbe possibile condurre un individuo all'evoluzione del proprio modello e al superamento delle proprie difficoltà mediante la spiegazione razionale e gli strumenti culturali, ma si è verificato che ciò non avviene. Da qui segnaliamo il limite di ogni trattazione scientifica psicologica basata sul potere del raziocinio e dell'indagine sull'inconscio. In questo lavoro è stato complesso costruire un impianto teorico che non ricada nelle categorizzazioni psicologiche e psicanalitiche più diffuse. Il lettore può orientare funzionalmente la propria percezione, ma non risolvere le proprie difficoltà con la semplice lettura e comprensione cognitiva e razionale di un testo. L'adozione intima e costante del modello emotivo è un assetto biologicamente previsto il cui accesso ed eventuale modificazione è possibile unicamente attraverso strumenti compatibili con il modello stesso e le sue dinamiche di sviluppo (ciò che esso può elaborare). Secondo una più accurata e recente interpretazione, nelle espressioni della cultura e della comunicazione umana, vi sono due tipologie di simboli: i simboli sociali e i simboli relazionali. I simboli sociali La tipologia più nota è quella di ambito letterario, dove troviamo i simboli sociali, religiosi e artistici; in questo contesto, il simbolo rappresenta un contenuto concettuale e piramidale/gerarchico. L'oggetto-simbolo, in questa concezione convenzionale, è una rappresentazione capace di attivare un valore riconosciuto collettivamente (intersoggettivo). Ogni cultura assume alcuni propri specifici simboli, e nel contempo, alcuni sono condivisi anche a livello interculturale. L'universalità dei simboli va compresa come mezzo espressivo attraverso il quale ogni persona identifica linguisticamente e nel significato la propria appartenenza culturale. I simboli sociali sono dunque caratterizzati da un grande apporto culturale, dove per cultura si intende l'insieme dei fattori educativi composti dalla formazione scolastica e usi/costumi nelle modalità relazionali, a prescindere dalla loro collocazione di costruttivo/distruttivo, giusto/sbagliato, positivo/negativo. L'individuo, nel riconoscimento e nell'impiego di un simbolo, attua una dinamica comunicativa, dove i valori di rappresentazione e di gerarchia si possono condividere in maniera rapida, efficace e tendenzialmente unidirezionale. Cosa significa che un simbolo è rappresentativo? Cosa significa che un simbolo è gerarchico? I simboli sociali e culturali rappresentano un sistema valoriale nel quale la persona colloca se stessa e gli altri. La codifica e l'uso nella comunicazione dei simboli avviene in maniera del tutto inconsapevole; pertanto, nella vita quotidiana, spesso risulta difficile comprendere il simbolo come dinamismo comunicativo. I simboli sociali, come elementi riassuntivi della comunicazione, costituiscono una sorta di griglia, un reticolo di elementi espressivi e comunicativi pronti all'uso e di sicuro significato, nel quale la persona identifica, colloca e orienta la propria identità (comunicazione-esperienza-sviluppo identitario). I simboli sociali, infatti, condizionano e definiscono l'appettibilità delle esperienze della propria vita, ossia: i bisogni dell'individuo emergono e vengono espressi simbolizzati e, in quanto stimoli relazionali/comunicativi, orientano le immediate esperienze che l'individuo compirà. I simboli sociali mantengono la loro importanza comunicativa anche quando vengono trasgrediti. L'individuo inconsapevolmente subordina la scelta delle proprie esperienze in base al proprio modello emotivo, che lo spinge a simbolizzare i propri bisogni nel tentativo/obiettivo di soddisfarli. Il simbolo sociale diventa, quindi, sintesi per l'azione concreta nel compensare, riscattare, evolvere la propria identità stessa. In questo senso, l'uso funzionale, pur sempre inconsapevole, dei simboli sociali è la ragione della loro diffusione. I simboli relazionali Nella seconda categoria, che è quella più inesplorata, il simbolo è un apparato funzionale inconsapevole senza il riconoscimento sociale condiviso. Simboli sociali e simboli relazionali non si escludono reciprocamente; tuttavia, bisogna sempre tenerli distinti all'interno di un medesimo contesto. Il simbolo relazionale viene a identificarsi in una qualsiasi cosa, oggetto, fatto, azione, situazione, figura, al quale la nostra mente attribuisce una capacità intrinseca di attivare reazioni emotive nella persona che percepisce, in quel momento, quel simbolo. La realtà percepita dalla persona è composta di oggetti di ogni tipo e comportamenti con vari scopi, ognuno dei quali assume sempre nel suo manifestarsi un valore comunicativo; quindi, questi elementi sono agiti e vissuti con un effetto multiplo nelle relazioni umane. Dobbiamo notare che un simbolo relazionale ha un preciso valore comunicativo e, contemporaneamente, non identifica necessariamente un bisogno, che invece si caratterizza in modo più complesso secondo la catena emozione-simbolo-comportamento-obiettivo. Al contrario dei simboli sociali, il simbolo relazionale è assolutamente individuale e inconsapevole; si forma in seno all'esperienza individuale e si sviluppa divenendo un attivatore automatico di emozioni e comportamenti tra loro difficilmente dissociabili. I simboli, nella nostra dinamica emotiva e mnemonica, si sviluppano solo in presenza di esperienze non del tutto elaborate. Pertanto, essi hanno il potere funzionale pervasivo di attivare la nostra reattività istintuale, che, scaturendo da esperienze non del tutto elaborate, eleva l'emozione della paura, che interagisce sulle facoltà mentali, mutandone la risposta nel binomio difesa/attacco e le condizioni psicofisiche, attivando i processi muscolari e di tensione/reazione. In parole povere, in presenza di un dato stato emozionale, il Superego produce l'identificazione di un simbolo, che diventa un allarme, che a sua volta diventa comportamento immediato. Questo processo primitivo deriva dal fatto che per milioni di anni ci siamo evoluti nella condizione del mondo animale, sviluppando la funzione primaria di difesa e di sopravvivenza, dove la percezione di un possibile pericolo viene interpretata come imminente anche se esso non lo è, e perciò condiziona in parte la nostra relazionalità. La paura, infatti, come stato emotivo funzionale, si è inizialmente strutturata come meccanismo di limitazione e di difesa; in questo senso, non si attiva unicamente in una situazione di pericolo reale, ma anche nella percezione preventiva di un pericolo ipotetico. Il nostro sistema psichico è infatti basato su una relazionalità diretta di feedback esperienziali. Potremmo schematizzare la nostra interazione rispetto alla domanda primaria (minaccioso o non minaccioso) nella seguente sequenza:
Come avviene il processo di simbolizzazione del simbolo relazionale? Il modello emotivo, infatti, contiene quella mappa emozionale per cui un dato oggetto può diventare simbolo oppure no. Un oggetto, quindi, può assumersi a simbolo quando è coerente e riconosciuto come catena evocativa emozionale nel modello emotivo stesso. Avviene, perciò, che, nella condizione familiare, la comunicatività del simbolo relazionale faccia parte del processo di trasmissione del modello emozionale genitori-figli. Il nostro modello emozionale relazionale determina le aree su cui l'individuo appartenente a quel nucleo familiare andrà a simbolizzare; le aree non appartenenti a quel modello non possono divenire simbolizzazioni, a meno che non si sviluppi attorno una specifica esperienzialità. I simboli potranno essere sociali o relazionali, l'aspetto che vogliamo evidenziare è che il simbolo diventa tale quando diventa portatore identificativo di una catena emozionale-esperienziale. Il simbolo è una proiezione con uno scarso valore di realismo e un alto potere evocativo emozionale; l'accensione è uno start-up, l'attivazione del sistema è contingente: non c'è solo l'interruttore, in quanto questa attività ha notevoli conseguenze. Al contrario della psicanalisi tradizionale, dove l'oggetto è simbolo di per sé, si evidenzia che ci sono oggetti comunemente evocativi, ma la vera proiezione è il comportamento che scaturisce insieme all'oggetto simbolico, in una dinamica ancor più relazionale e comunicativa. L'individuo agisce un simbolo perché agisce un bisogno di integrare un'esperienza non riuscita, non completa, non elaborata. La simbolizzazione si può allora legare con la sublimazione: quando una determinata area non è stata esperita fino in fondo, genera nell'individuo il bisogno di simbolizzare e di spostare la sua focalizzazione su un oggetto o su una situazione. Possiamo sostenere che non si smette mai di simbolizzare, in quanto il processo di simbolizzazione resta comunque come un dato esperienziale (poiché è legato al processo biologico di memorizzazione), ma se si avrà sviluppato l'esperienza fino in fondo con le sue variabili, si smetterà di drammatizzare il simbolo e di dedicarvi una quota considerevole di tempo, energia e sofferenza. Il simbolo nei processi onirici Anche nella realtà onirica riconosciamo fenomeni di tipo simbolico, che molti studi hanno cercato di sfruttare per ottenere una sorta di “orientatore/indicatore” rivolto a interpretare e comprendere l'ignoto della persona. Oggi sappiamo che i simboli onirici si comportano come quelli relazionali; essi si esprimono quando il fatto emotivamente rilevante è già accaduto e fa parte, almeno parzialmente, della memoria. Consideriamo che una condizione emotiva non memorizzata/vissuta non è simbolizzabile e, di conseguenza, sognabile. Pertanto, i simboli onirici risultano essere sempre la segnalazione di una dimensione già accaduta e, similmente a una notizia data in ritardo, risultano abbastanza superflui. Il generarsi di un simbolo è contestuale e funzionale. Esso, come abbiamo visto, è la funzionalità espressiva di un bisogno, ossia quello di completare un'esperienza e di integrare la propria identità con la percezione della realtà che sta vivendo la persona. Porre attenzione sul simbolo onirico è un processo articolato e sostanzialmente superficiale, in quanto esso è la trasposizione metaforica di una condizione emotiva, quindi lontana dalla condizione di modello emozionale che l'individuo ha invece bisogno di evolvere. Per quanto espressivi, non tutti i simboli sono importanti da un punto di vista terapeutico; alcuni sono conseguenti, e quindi risultano secondari rispetto ad altri simboli più caratterizzanti. I sogni risultano spesso sovradimensionati dalla pratica terapeutica tradizionale, in quanto non sono altro che la ripetizione “narrativa” di ciò che i segnali diurni già ampiamente indicano. Un'analoga considerazione può essere posta anche per i fenomeni di lapsus e atti mancati. L'espressione onirica non può essere scissa dalla realtà diurna della persona. Essa non è preventiva, ma consuntiva rispetto alle esperienze dell'individuo, il quale elabora inconsapevolmente una sintesi narrativa. Il sogno, pertanto, è il refluo ipersintetico di un processo più esteso. Prendiamo come indicativa la rilevazione della conflittualità nei sogni di un individuo. Seguendo una lettura simbolica onirica, è facile rilevare questo tipo di sofferenza, ma non risultano affatto rilevabili le dinamiche che conducono l'individuo a questa simbolizzazione. Come è noto, i conflitti si strutturano sul contrasto tra i bisogni e la loro negazione e, nell'attività narrativa onirica, queste due condizioni possono essere completamente assenti, ma viene drammatizzata solo la rappresentazione dell'emozionalità. La dinamica negatoria sottile della consuetudine (implicita, culturale, morale) non viene colta attraverso la lettura simbolica del sogno, che rappresenta travestito unicamente il risultato conseguente di questo dinamismo, del quale non possiamo avere una traccia per quanto concerne la sua struttura e le sue origini. Che senso ha il travestimento narrativo nel sogno? La rappresentazione simbolica è intimamente legata al nostro sistema di memorizzazione. Il sogno, in definitiva, è un meccanismo funzionale con lo scopo di orientare l'individuo a un assetto emotivo-evolutivo che lo porti a compiere determinate azioni. Il simbolo onirico, per concludere, è un qualcosa che riproduce l'attivazione emotiva, ma non ha sempre un diretto contenuto relazionale e, pertanto, al di fuori della scena emotiva non esprime altro. Le dinamiche emotive rappresentate nella realtà onirica si possono rilevare in copiosa quantità nella vita diurna e quotidiana; pertanto, gli scarsi segnali onirici risultano una goccia nel mare di informazioni che abbiamo già a disposizione. Anche il contenuto rimosso che taluni ravvedono nelle espressioni oniriche è ampiamente individuabile nei comportamenti e nelle dinamiche emotive diurne. I simboli sono un qualcosa di interattivo: possono essere adottati per comunicare qualcosa, oppure, se subiti, diventano attivatori per l'individuo. Essere attori o spettatori di una rappresentazione simbolica determina così notevoli differenze. |
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