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Gli stereotipi Riportiamo qui di seguito la definizione che Wikipedia ci offre sul concetto di stereotipo: “Lo stereotipo è la visione semplificata e largamente condivisa su un luogo, un oggetto, un avvenimento o un gruppo riconoscibile di persone accomunate da certe caratteristiche o qualità. Si tratta di un concetto astratto e schematico che può avere un significato neutrale (ad es. lo stereotipo del Natale con la neve e il caminetto acceso), positivo (la cucina italiana è la più raffinata del mondo) o negativo (l'associazione tra consumo di droghe e la musica Rock) e, in questo caso, rispecchia talvolta l'opinione di un gruppo sociale riguardo ad altri gruppi. Se usato in senso negativo o pregiudizievole, lo stereotipo è considerato da molti come una credenza indesiderabile che può essere cambiata tramite l'educazione e/o la familiarizzazione.Talvolta lo stereotipo è una caricatura o un'inversione di alcune caratteristiche positive possedute dai membri di un gruppo, esagerate al punto da diventare detestabili o ridicole. Alcuni gruppi hanno cercato, per deliberata strategia politica, di sviluppare nuovi stereotipi positivi su sé stessi.” Stereotipia e realtà Per quanto riguarda le dinamiche emotive relazionali, gli stereotipi svolgono una funzione molto importante nel livello di realismo delle attività proiettive. È facile osservare che, quando non comprendiamo chiaramente un fatto, la nostra mente si attiva nel cercare il riscontro di “normalità” intorno a quel fatto/fatti simili. In questo modo, la nostra mente ottiene (almeno apparentemente) un inquadramento che produce la sensazione di aver trovato una valida risposta e interpretazione di quel preciso fatto. Questa valida risposta si concretizza perché attingiamo a una visione riconosciuta dalla collettività (stereotipo). L'individuo si serve sistematicamente degli stereotipi ogni qualvolta manchino informazioni intorno a un fatto oppure vi sia un'alterazione emozionale che definisca come insufficienti le esperienze della persona. Quando l'individuo ha esperienze intorno a un argomento, all'interno della propria intima visione difficilmente si appoggia agli stereotipi, in quanto egli conosce dettagliatamente l'argomento in questione. La propria esperienza è costituita da un insieme di associazioni tra “fatti-conseguenze-effetti-risposte emozionali” che molto difficilmente possono essere sintetizzati, non fosse altro per la frequente incoerenza/illogicità delle dinamiche emozionali. Per questo, spesso è difficile spiegare a parole un'esperienza vissuta, pur essendo concreta e immediata. Nel tentativo di trasmettere le informazioni della propria esperienza ad altre persone si struttura la genealogia dello stereotipo; in altre parole, lo stereotipo nasce con l'intento di rendere comprensivo e chiaro un fatto che contiene degli aspetti non chiari. L'oggettivazione dello stereotipo contiene sempre la forzatura del portare approssimativamente a universalità qualcosa che non ce l'ha. Lo stereotipo vale statisticamente per la maggioranza, ma non contempla che la realtà è specifica, dettagliata e individuale. Stereotipi, proiezioni e rappresentazioni In questo paragrafo, andiamo a comprendere come le proiezioni che scaturiscono dalla nostra identità mnemonica si conformino e utilizzino gli stereotipi per gestire e contenere le spinte emotive. Come già trattato con le proiezioni, ogni individuo interpreta la realtà secondo la propria esperienza e, pertanto, con un certo grado di non-realtà. Questa condizione diviene significativa e importante quando siamo davanti a stati di sofferenza, che inducono la persona a drammatizzare i propri sentimenti. Le situazioni di malessere, che erroneamente l'individuo focalizza come il “problema” da risolvere, inducono a cercare risposte efficaci nella direzione suggerita dal problema stesso. La ricerca di tali risposte risulta condizionata da una forte pulsione di paura, che, oltre a restituire un panorama distorto della realtà, acuisce il bisogno che queste risposte siano efficaci e, contestualmente, socialmente riconosciute come valide/normali. In altre parole, l'individuo in difficoltà proietta e interpreta una realtà deformata del suo dolore e utilizza gli stereotipi come strumento di gestione del problema. Per questa ragione, assistiamo frequentemente a un esteso uso di parametrizzazioni morali nel cercare di identificare e risolvere dei problemi. La persona che soffre vive come primario il concetto di “colpa” del suo essere sofferente, che, ovviamente, attiva la ricerca delle colpe e delle “cose giuste” da fare. Il processo del dolore umilia la persona, che si percepisce come inadeguata, quindi colpevole di inefficienza, e la spinge a cercare intorno a sé i colpevoli del proprio malessere. Il dinamismo morale così generato diviene il vero grande limite che disorienta la persona e le impedisce di evolvere la difficoltà. Possiamo quindi comprendere che, da un lato l'attività proiettiva non correttamente inquadrata distorce la propria prospettiva, dall'altro gli stereotipi sono, metaforicamente, una sorta di fast-food delle risposte ai problemi. Il risultato è disastroso: l'individuo che vive una difficoltà ne sovrastruttura strati su strati di rappresentazioni distorte. Parallelamente, la collettività e l'entourage della persona utilizzano sistematicamente gli stereotipi per contenere/guidare lo sviluppo dell'identità dell'individuo. Basta pensare ai media, ai social media, al sapere popolare per identificare che il suggerimento di fondo che ci si sente rivolgere è di conformarsi alla tradizione, alla normalità, agli standard, in altre parole, agli stereotipi. La persona che si trova collocata in un quadro complessivo di Sé stereotipato apparentemente vive bene, ma questa condizione dura fino a quando non avvengono imprevisti al di fuori degli stereotipi. Vivere in modo stereotipato comporta il fondersi con gli stereotipi stessi, in un quadro dove la persona conforma non solo la propria esteriorità, ma anche il proprio modo di sentire e di percepirsi. L'adeguamento stereotipo del pensiero rappresenta un sistema rassicurante e rapido per rispondere alle domande sulla propria identità e sulla propria collocazione sociale. Queste risposte, di cui la collettività fornisce un ampio catalogo, sono rapide ed efficaci, e consentono di sentirsi bene. Tuttavia, la condizione del benessere si riduce a quella rappresentazione di sé non basata sulla propria identità, bensì su un'identità unicamente riconosciuta a livello sociale. I due tipi di identità risultano addirittura antitetici, in quanto l'identità autentica della persona si sviluppa negli anni e in un quadro esperienziale articolato. Al contrario, l'identità stereotipa esclude una progressione di sviluppo e, rigidamente, limita lo sviluppo dell'identità stessa, proprio per il carattere superficiale e generico degli stereotipi. L'individuo che, anche inconsapevolmente, si percepisce in difficoltà, trova un'efficace mimesi nello stereotiparsi e nel rappresentarsi secondo i valori socialmente riconosciuti.
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