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La drammatizzazione

La drammatizzazione è un comportamento che ci permette di identificare molteplici fattori legati al modello emotivo e al sistema della negatorietà, ossia quella serie di posture verbali e corporee che esprimono, attraverso una serie di proiezioni e di trame competitive, la “negazione dell'altro” a prescindere da quale sia il contenuto che sta tentando di esprimere. Per drammatizzazione non si intende solamente l'accentuare una determinata sofferenza, con l'aumento del suo potenziale comunicativo/distruttivo, ma può anche intendersi come un particolare pathos o entusiasmo positivo, che però rimangono comunque legati alle dinamiche della performance e della competizione. Nella lingua inglese, per esempio, si utilizza spesso l'espressione “you're a drama queen” (“sei una reginetta del dramma”). La drammatizzazione è un comportamento sofisticato prodotto nella sfera della comunicazione. Essa è il risultato di un addestramento emotivo basato sulla postura di enfatizzare ogni avvenimento, attribuendogli caratteri straordinari, sia sul piano della sofferenza sia su quello dell'entusiasmo. In questo tipo di comunicati, la persona esprime il proprio stato in maniera oggettivata, secondo cui gli eventi, oltre a essere sempre eccezionali, sono anche inevitabili e dominanti.

Non tutti gli individui reagiscono allo stesso modo di fronte a una situazione, per quanto sia complessa e generatrice di sofferenza. Quello che davvero ricordiamo o viviamo di un trauma o di una gioia è la coloritura, la sfumatura, l'accezione più o meno drammatica che attribuiamo a quel determinato fatto. L'importanza del fatto che scatena una forte reazione emotiva è una percezione non legata al fatto, ma alla sua interpretazione proiettiva. Per esempio, è facile intuire che nel rapporto tra genitori e figli, soprattutto in fase di addestramento/educazione, se a questi ultimi accade qualcosa che li mette in difficoltà o li fa soffrire e i genitori tendono ad accentuare, a preoccuparsi, o a voler cercare disperatamente rimedio trasmettendo una forte dose di ansietà, si verranno a generare delle associazioni sovradimensionate tra il fatto spiacevole e la sua drammaticità; perciò, ogni volta che si ripresenterà una situazione analoga i figli tenderanno a viverla con un surplus di sofferenza.

La drammatizzazione è quindi legata alla relazionalità seduttiva, soprattutto a quella di stampo vittimista (ma non bisogna escludere una sua percentuale anche in quella conflittuale e in quella valorizzante). La dinamica della drammatizzazione viene assunta con un intento inconsapevolmente manipolatorio; attraverso l'accentuazione si cerca di attirare l'attenzione e l'interesse del proprio entourage. L'intensità della drammatizzazione è direttamente proporzionale a quanto la persona inconsciamente teme di non essere considerata; il dinamismo emotivo che guida questa scelta comportamentale è, quindi, un eccesso di paura.

Le persone che sono solite a drammatizzare non possono abbassare la soglia della drammaticità con cui vivono le proprie esperienze. L'individuo cerca di trovare e di condividere le sue difficoltà o i suoi entusiasmi come prestazioni straordinarie e indiscutibili. Infatti, egli tenderà a rifiutare, con una dose più o meno elevata di aggressività, chiunque tenti di ridimensionare la presunta straordinarietà dei fatti drammatizzati. Davanti alla drammatizzazione di un fatto (negativo o entusiastico che sia), l'interlocutore si trova a vivere una pressione emotiva molto forte, della quale avverte l'effetto, ma contemporaneamente si ritrova impotente di fronte a questa imposizione. Dal punto di vista dello schema relazionale, la drammatizzazione si esplicita come un atto che rende l'interlocutore incapace di interagire, attuandone di fatto una pesante negazione. Infatti, davanti a una persona che esprime un entusiasmo, l'interlocutore si ritrova nella condizione di scegliere tra fingere una condivisione oppure a mortificare l'entusiasmo stesso dell'altro. Lo stesso dinamismo è rintracciabile nel caso di una condivisione enfatizzata negativamente. Non importa se la situazione condivisa sia positiva o negativa; ciò che risulta evidente è che la drammatizzazione forza la relazione, ne altera l'equilibrio emozionale e ne impedisce una condivisione autentica.

Drammatizzare è un'inconsapevole postura seduttiva, che ha il preciso intento di essere un'azione con uno scopo definito. L'enfasi dei comportamenti drammatizzati muove dalla paura di essere negati, ed è un tentativo di garantirsi l'attenzione, e, di conseguenza, l'impossibilità stessa di essere negati. L'individuo che attua questi comportamenti non è in grado di mutarli. Infatti, nonostante la presunta sicurezza della drammatizzazione, il soggetto cercherà comunque conferma delle proprie interpretazioni, del proprio dolore o della propria gioia da parte dell'interlocutore. I feedback potrebbero essere molto contrastanti, per esempio l'interlocutore potrebbe reagire in maniera di sminuire il dolore che l'individuo ritiene insopportabile e insostenibile, mettendo il sofferente in uno stato di incomprensione.

L'individuo sofferente pretende quindi una sorta di sostegno per mezzo di un giudizio oggettivo intorno a dei fatti che di per sé non necessariamente devono essere trattati in maniera drammatica. La scelta sull'entità della drammatizzazione dipende dal valore attribuito al fatto drammatizzato, che viene subordinato funzionalmente ai bisogni relazionali seduttivi. In una certa misura, si può riconoscere in questo dinamismo autolegittimante un parallelismo con i sistemi autoreferenziali. La drammatizzazione è spesso vincolata a dei codici morali, che vengono applicati arbitrariamente in modo da produrre un ricatto affettivo nei confronti della propria famiglia, del proprio compagno, dei figli, dei colleghi, degli amici, fino a estenderlo a tutta la compagine sociale. L'individuo che si sente vittima tende a utilizzare questo tipo di dinamismo autolegittimante.

Con questo non vogliamo sostenere che non bisogna dare peso alle sofferenze o agli entusiasmi altrui, ma porre attenzione alle nostre proiezioni e soprattutto ai feedback di risposta. Accettando/negando il sovradimensionamento drammatico, si restituisce alla persona un feedback carico di sconferma e di negatorietà, in quanto si risponde empaticamente alla dinamica relazionale con un atteggiamento di condivisione e di partecipazione, ma contestualmente si viene a confermare l'impotenza e l'inadeguatezza del soggetto attraverso un'espressione automatica di valutazione o giudizio. L'individuo tenderà a dismettere la relazionalità basata sulla drammatizzazione solo se l'interlocutore ascolta il sofferente senza adottare atteggiamenti di risposta né in modo negatorio né in modo empatico. In questa maniera, la proiezione drammatizzata del sofferente non trova un seguito relazionale ed egli, in un processo del tutto automatico, tenderà ad adottare altri tipi di comportamento che risultino per lui più efficaci nel mantenere il rapporto. Diversamente, più viene confermato il modello drammatico, più l'individuo avrà difficoltà ad identificare un'alternativa relazionale.

 

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