NON PSICOLOGICA

 

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della mente umana

 

                            

                                      Codifiche sociali ovvero: gli stereotipi
                                                                                      (autore: Alberto Bonizzato)

 

Riportiamo qui di seguito la definizione che Wikipedia ci offre sul concetto di stereotipo:

 

“Lo stereotipo è la visione semplificata e largamente condivisa su un luogo, un oggetto, un avvenimento o un gruppo riconoscibile di persone accomunate da certe caratteristiche o qualità. Si tratta di un concetto astratto e schematico che può avere un significato neutrale (ad es. lo stereotipo del Natale con la neve e il caminetto acceso), positivo (la cucina italiana è la più raffinata del mondo) o negativo (l'associazione tra consumo di droghe e la musica Rock) e, in questo caso, rispecchia talvolta l'opinione di un gruppo sociale riguardo ad altri gruppi. Se usato in senso negativo o  pregiudizievole, lo stereotipo è considerato da molti come una credenza indesiderabile che può essere cambiata tramite  l'educazione e/o la familiarizzazione. Talvolta lo stereotipo è una caricatura o un'inversione di alcune caratteristiche positive possedute dai membri di un gruppo, esagerate al punto da diventare detestabili o ridicole. Alcuni gruppi hanno cercato, per deliberata strategia politica, di sviluppare nuovi stereotipi positivi su sé stessi.

 

                                                        Stereotipia e realtà

 

Nei rapporti umani, per quanto riguarda le dinamiche emotive relazionali, gli stereotipi svolgono una funzione molto importante nella individuazione del livello di realismo (attendibilità) delle attività proiettive.

Come è noto, la mente memorizza le cose secondo una particolare modalità di sintesi, dalla quale originano per esempio i simboli, i fumetti, molta letteratura e tutte le forme espressive non dettagliate. Questa caratteristica che nasce con la funzione di fare “economia” di memoria e connessioni sinaptiche, produce nell'ambito della complessità dei soggetti e dei valori sociali delle sintesi particolari. Questi condensati di significato sono però ad uso assolutamente quotidiano e semplice, come possono esserlo le parole, ma contengono comunque diversi significati. Gli stereotipi, sono una specie di simbolizzazione spicciola, adatta ad essere usata per identificare qualcosa che ci serve. Ecco che se mi trovo nella situazione di sentirmi che sono inadeguato, la mia mente mi spingerà ad adottare lo stereotipo del ragazzo interessante, adottando i tipici comportamenti che questo stereotipo suggerisce. Oppure, se voglio fare colpo su una persona, mi comprerò un auto di lusso, oppure un vestito particolare. Insomma, nella nostra mente ci sono una infinità di stereotipi del comportamento pronti ad essere usati per comunicare qualcosa di specifico.

Gli stereotipi però sono qualcosa di più che la semplice assunzione di atteggiamenti di facile riconoscimento. Essi sono anche un complesso sistema di significati che vengono utilizzati all'occorrenza dalla mente per rispondere alle domande più complesse e sensibili.

 

È facile osservare che, quando non comprendiamo chiaramente un fatto, la nostra mente si attiva nel cercare il riscontro di “normalità” intorno a quel fatto/fatti simili. In questo modo, la nostra mente ottiene (almeno apparentemente) un inquadramento che produce la sensazione di aver trovato una valida risposta e interpretazione di quel preciso fatto (attività di cognitivizzazione). Questa valida risposta si concretizza perché attingiamo a una visione del fenomeno in esame riconosciuta dalla collettività: lo stereotipo di quella situazione. L'individuo si serve sistematicamente degli stereotipi ogni qualvolta nell'esperienza interiore manchino informazioni specifiche intorno a un fatto, oppure vi sia un'alterazione emozionale che definisca come insufficienti le esperienze della persona (vedasi capitolo sull'esperienza). Al contrario, quando l'individuo ha esperienze interne sufficienti intorno a un dato contenuto, all'interno nella propria intima visione, difficilmente si appoggia agli stereotipi, in quanto egli lo conosce dettagliatamente.

 

La propria esperienza è costituita da un insieme di associazioni tra “fatti-conseguenze-effetti-risposte emozionali” che molto difficilmente possono essere sintetizzati, non fosse altro per la frequente incoerenza/illogicità delle dinamiche emozionali.

 

Per questo, spesso è difficile spiegare a parole un'esperienza vissuta, pur essendo concreta e immediata. Nel tentativo di trasmettere le informazioni della propria esperienza ad altre persone, normalmente si ricorre alla narrazione per metafore o similitudini, vari tipi di contenuti che in qualche modo assomiglino all'argomento che si vuole richiamare nella mente del ricevente.

In questa procedura ravvediamo un meccanismo che per molti versi, nel tentativo di oggettivare e semplificare il contenuto esperienziale, si avvicina alla genealogia dello stereotipo; in altre parole, lo stereotipo nasce con l'intento di rendere comprensivo e chiaro un fatto che contiene degli aspetti non chiari. L'oggettivazione dello stereotipo contiene sempre la forzatura del portare approssimativamente a universalità (quindi condivisibile senza fraintendimenti) qualcosa che non ce l'ha. Lo stereotipo vale statisticamente per la maggioranza, ma non contempla che la realtà è specifica, dettagliata e individuale.

 

                                  Stereotipi, proiezioni e rappresentazioni

 

In questo paragrafo, andiamo a comprendere come le proiezioni che scaturiscono dalla nostra identità mnemonica si conformino e utilizzino gli stereotipi anche per tentare di gestire e contenere le spinte emotive primarie (arousal). Come già trattato nel capitolo sulle proiezioni, ogni individuo interpreta la realtà secondo la propria esperienza e, pertanto, con un certo grado di incoerenza con la realtà stessa. Questa condizione diviene significativa e importante quando siamo davanti a stati di sofferenza, che induce la persona a drammatizzare i propri sentimenti. Le situazioni di malessere, che erroneamente l'individuo focalizza come il “problema” da risolvere, inducono a cercare risposte efficaci nella direzione suggerita dal problema stesso.

 

La ricerca di tali risposte risulta condizionata da una forte proiezione di inadeguatezza, di inaccettabilità, che, oltre a restituire un panorama distorto della realtà, acuisce il bisogno che queste risposte siano efficaci e, contestualmente, socialmente riconosciute come valide/normali.

 

In altre parole, l'individuo in difficoltà proietta e interpreta una realtà deformata del suo dolore e utilizza gli stereotipi come strumento di gestione del problema. Per questa ragione, assistiamo frequentemente a un esteso uso di parametrizzazioni morali nel cercare di identificare e risolvere dei problemi. Troviamo questa aberrazione interpretativa, ad esempio, nella maggioranza delle definizioni patologiche psicologiche, che invece di cogliere il dinamismo che crea la sofferenza, ne classifica moralmente il disturbo.

 

In questo modo, la mente focalizza appunto l'inaccettabilità del problema, e non ci si accorge che si lavora sulla conseguenza e non sull'origine. Una persona, cui viene ufficializzata una patologia mentale, non può esimersi dall'identificarsi come malata, anche se oggi si tenta di non usare esplicitamente queste categorie discriminanti, pertanto comunque la sua mente produce una notevole quantità di distorsioni sistemiche, che invece di aiutarla a focalizzare la correzione da adottare, individua unicamente la negazione del problema nei vari modi possibili. Questi tentativi di risoluzione, purtroppo, ricorrono unicamente ad un criterio di valutazione morale (sano/malato). La persona che soffre, vive drammaticamente il concetto di “colpa” del suo essere sofferente, che, ovviamente, attiva la ricerca delle colpe e delle “cose giuste” da fare. Il processo del dolore inoltre umilia la persona, che si percepisce come inadeguata, quindi colpevole di inefficienza, e la spinge a cercare intorno a sé i colpevoli del proprio malessere. Il dinamismo morale (sano/malato) così generato diviene il vero grande limite che disorienta la persona e le impedisce di evolvere le dinamiche emotive primarie e la difficoltà aumenta. Possiamo quindi comprendere che, da un lato l'attività proiettiva non correttamente inquadrata distorce la  prospettiva di comprensione, dall'altro gli stereotipi sono, metaforicamente, una sorta di fast-food delle risposte ai problemi. Il risultato è disastroso: l'individuo che vive una difficoltà emotiva sovrastruttura strati su strati di rappresentazioni distorte.

 

Osservando il sistema degli stereotipi culturali da un altro punto di vista, vediamo che parallelamente, la collettività e l'entourage della persona utilizzano sistematicamente gli stereotipi e il moralismo per contenere/guidare lo sviluppo dell'identità dell'individuo. Basta pensare ai media, ai social media o al sapere popolare, per identificare che il suggerimento di fondo che ci si sente rivolgere continuamente è di conformarsi alla tradizione, alla normalità, agli standard, in altre parole, agli stereotipi. La persona che si trova collocata complessivamente con una identità stereotipata vivrà  bene, almeno apparentemente. Tuttavia questa condizione dura fino a quando non avvengono imprevisti al di fuori degli stereotipi e l'individuo non riesce più a mantenere la propria carreggiata conforme ai dettami sociali.

 

Vivere in modo stereotipato comporta il fondersi con gli stereotipi stessi, in un quadro dove la persona conforma non solo la propria esteriorità, ma anche il proprio modo di sentire e di percepirsi.

Vorrei sottolineare che non c'è assolutamente nulla di sbagliato nel vivere in modo stereotipato, anzi, spesso rappresenta una dimensione di successo e di benessere. L'adeguamento stereotipo del pensiero rappresenta un sistema rassicurante e rapido per rispondere alle domande sulla propria identità e sulla propria collocazione sociale. Queste risposte, di cui la collettività fornisce un ampio catalogo, sono rapide ed efficaci, e consentono di sentirsi bene. Tuttavia, la condizione del benessere, in molti casi, si riduce a quella rappresentazione di sé non è basata su una propria identità e costruita nel tempo con le esperienze vissute ma su un'identità unicamente riconosciuta a livello sociale. I due tipi di identità risultano addirittura antitetici, in quanto l'identità autentica della persona si sviluppa negli anni e in un quadro esperienziale articolato e da sicurezza di sé. Al contrario, l'identità stereotipa esclude una progressione di sviluppo e limita rigidamente lo sviluppo dell'identità stessa, proprio per il carattere superficiale e generico degli stereotipi. L'individuo che, anche inconsapevolmente, si percepisce in difficoltà, trova un'efficace mimesi nello stereotiparsi e nel rappresentarsi secondo i valori socialmente riconosciuti, ma è un effetto di scarsa durata.

 

 

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