NON PSICOLOGICA

 

Sito di contenuti sul funzionamento

della mente umana

 

 
                           La fisicità delle Emozioni primarie (sistema Limbico)

 

La fisicità e le somatizzazioni

Nella trattazione dei dinamismi emotivi e comportamentali, una parte rilevante si colloca nella risposta fisica e corporea. Mente e corpo sono di fatto inscindibili anche da un punto di vista concettuale, in quanto le rispettive indipendenze generano la corrispettiva subordinazione e dipendenza l'uno dall'altra. Mente e corpo si influenzano continuamente privi di una reale gerarchia; quando il corpo si ammala, la mente si adatta funzionalmente con emozionalità e comportamenti adeguati. Analogamente, quando la mente è alterata, il corpo ne traduce un analogo adattamento attraverso somatizzazioni e comportamenti specifici. Possiamo comprendere con rinnovata certezza che una difficoltà emotiva si commuterà in somatizzazione fisico-corporea. La differenza che poniamo nella rappresentazione tra fisico e corporeo sta nel senso effettivo della forma con la quale il corpo reagisce e si struttura alle pressioni emotive. L'inquadramento generale di tipo fisico riguarda forme somatiche anche non palesi, come quelle biologiche, immunitarie e in genere interne, mentre con la dimensione corporea intendiamo aspetti più direttamente funzionali del corpo come insieme di organi mobili e motori, come per esempio movimenti specifici, alterazioni articolari specifiche ed espressioni corporee esteriori. Oggi è noto come una costante pressione emotiva esercitata sulla persona produca una concatenazione di risposte anche fisiche e corporee, in quanto le catene dei comportamenti legati a quella pressione divengono nel tempo precise abitudini, sia muscolari-articolari sia respiratorie, fisiologiche e immunologiche. Queste risposte indirette che il corpo sviluppa come adattamento alle pressioni emotive ricevute si riscontrano non solamente in contesti di tipo negativo, come quelli legati alla sofferenza, ma anche in quelli di tipo positivo, come, per esempio, lo sviluppo muscolare dell'atleta, della ballerina, dell'intellettuale e via dicendo. In ogni caso, assistiamo a un adattamento in cui corpo e mente lavorano sempre reciprocamente in sviluppi e/o atrofie guidati da precisi dinamismi emozionali.


Guardiamo ora alcune tematiche della relazionalità e della relazione emozioni /corpo, focalizzando l'attenzione sulla comunicazione comportamentale e sulla realtà che la circonda. Laura De Biasi, da oltre venticinque anni docente e formatrice in attività individuali intorno alla recitazione e alla comunicazione, ci darà alcune considerazioni che implementano da un altro punto di vista quanto esposto nel resto di questo libro. Il riferimento utilizzato è quello dell'attorialità, in quanto nella complessa ed articolata figura dell'attore la comunicazione e il suo realismo hanno permesso di approfondire e di comprendere molti aspetti non direttamente legati alla recitazione. La scelta di questo panorama di approfondimento si basa sul fatto che la comunicazione, osservata nel sistema del Modello Emozionale relazionale, rappresenta un vero e proprio fulcro, attorno al quale si articolano le proiezioni di sé, le dinamiche emotive, i meccanismi seduttivi e quant'altro appartenga alla nostra identità effettiva. La comunicazione inconsapevole individuale esprime, quindi, esattamente tutte le sfumature della nostra identità emotiva, divenendo un valido strumento per indagare e comprendere i propri elementi del Modelli Emozionale e rappresentazioni di corollario. Nella cosiddetta “verità espressiva” attoriale, frutto della coerenza tra emozione-intenzione-comunicazione, troviamo uno straordinario e profondo catalogo dei comunicati e metacomunicati dell'essere umano, che emergono in una meravigliosa mappatura in grado di fornirci precise e inequivocabili immagini della matrice (Modello Emozionale), della proiezione e dell'azione che emergono nell'atto comunicativo. Nelle riflessioni di Laura De Biasi non appariranno solo delle consapevolezze attoriali, ma anche un universo parallelo dove la distinzione tra la realtà e la rappresentazione è sottile e spesso equivoca. Troveremo situazioni dove sarà difficile tenere la bussola della distinzione tra il comportamento e il suo senso compiuto. Il grande valore di questo contributo sta nella trasversalità di una disciplina che il pubblico associa alla fama, ma che Laura De Biasi ha saputo focalizzare entrando in un territorio che contiene un'ampiezza di indagine insolita e straordinaria.

 

                                                 La corporeità delle emozioni

 

La comunicazione non verbale, che come sappiamo rappresenta circa il 90 % dell'intero processo comunicativo, viene espressa mediante il nostro corpo e non attraverso la parola. Per questo è interessante osservare da questa specifica angolazione la consapevolezza di sé, ponendo l'attenzione su vari aspetti della nostra corporeità, che spesso vengono lasciati nell'implicito e nell'involontario di una comunicazione generale che risulta per la maggior parte inconsapevole.

 

Tali aspetti sono, per esempio, l'espressività del viso, la gestualità degli arti, la respirazione, la voce, lo sguardo, il modo di camminare e la postura generale del corpo. Col termine gestualità intendiamo focalizzare ciò che avviene realmente, come ad esempio quando le mani si intrecciano nervosamente, quando si suda, quando ci si accomoda il vestito o i capelli, cioè tutti quei mini segnali che passano inosservati (alla comprensione cognitiva) e che rappresentano i veri indicatori dello stato d'animo. Analizzeremo brevemente alcuni di questi aspetti per mettere in evidenza la loro rilevanza, sia come espressione della personalità individuale, sia come modalità relazionale con l'ambiente e con l'altro. La comunicazione non verbale scaturisce dai nostri assetti emotivi primari e, pertanto, è la portatrice di contenuti importanti e inconsapevoli che condizionano fortemente la relazione che si costruisce. Nella comunicazione non  verbale si strutturano i metacomunicati proiettivi che sono un composto tra quello che inconsapevolmente vogliamo o temiamo, tradotti attraverso l'apprensione in segnali che trasmettono all'interlocutore la nostra autentica intenzione.

Questi, essendo fattori comportamentali, generano simboli espressivi e cognitivi e definiscono il tono e la consistenza delle reazioni tra le persone. La comunicazione fisica dei comportamenti viene inconsapevolmente letta dall'interlocutore e diviene  a sua volta un potente attivatore delle emozioni altrui. Pertanto, per comprendere in maniera estesa i fenomeni proiettivi, le dinamiche emozionali e la realtà della relazionalità umana, è fondamentale approfondirne la conoscenza.     

 

La respirazione

 

La respirazione rappresenta una componente importante in quanto è uno dei principali fattori che vengono somatizzati nelle forme di apprensione. Quando la persona è tesa, per prima cosa si altera la respirazione, assieme al ritmo cardiaco e molte altre risposte fisiologiche. Ma a differenza delle altre, la respirazione produce un particolare effetto sulla comunicazione, perché la sua alterazione avviene in modo visibile, con la contrazione del torace (quando si ha l'apnea) oppure la vistosa movimentazione di una respirazione amplificata di chi è agitato, oppure ancora la irregolarità di chi respira a tratti con grandi sospiri alternati all'apnea. La respirazione è un fenomeno biologico spontaneo, che avviene in modo automatico, ma spesso non si attua in modo ampio e corretto come dovrebbe. L'uomo occidentale, in particolare, ha ridotto la propria capacità di respirazione individuandola principalmente nella parte superiore del corpo, ossia la parte toracica. Questo tipo di “vizio” nella respirazione è legato a una componente ansiosa che si è installata con gran forza nella nostra quotidianità occidentale e che ha fatto passare in secondo piano la più sana respirazione diaframmatica. Il diaframma è una membrana muscolare neurovegetativa volontaria e involontaria; anche quando l'essere umano dorme essa funziona automaticamente, mentre in stato di veglia è possibile gestirla  al punto da poterla anche bloccare e non far funzionare (stato di apnea). Una respirazione serena e posturalmente sana fa riempire completamente i polmoni, consente a tutto il corpo di ossigenare di più e compie una sorta di massaggio naturale su stomaco, intestino e fegato, migliorando perfino la digestione. È possibile immaginare il diaframma come lo stantuffo della siringa, che crea uno stato di vuoto in modo da permettere all'aria di entrare pienamente nei polmoni; l'aria così immessa nel corpo, in modo bilanciato e completo, permette alla struttura polmonare di compiere bene il proprio lavoro. Questa funzionalità, espletata correttamente tende ad essere di per sé un assetto rilassante, che da una sensazione di benessere e di contatto col proprio corpo. Una corretta respirazione svolge anche una seconda importante riqualificazione della espressività verbale nel modo di parlare, in quanto nell'atto della fonazione, l'aria abbondante e elasticamente espulsa nella espirazione, lambisce le corde vocali in modo equilibrato, generano un suono della voce chiaro, forte e timbrico senza sforzo, senza che venga esercitata una pressione violenta che spesso porta a danneggiare le corde vocali (noduli).  Quando viene utilizzata la respirazione toracica invece, si riempie solo la parte alta dei polmoni, che al contrario di come normalmente si pensa, espande un volume minore di capienza e l'aria in uscita lambisce le corde vocali in modo sforzato, creando delle tensioni e delle pressioni anomale sulle corde vocali, con scarsa efficienza tonale nella voce. La persona che respira toracicamente, tende ad emettere poca voce, sforzare molto la muscolatura toracica e delle corde vocali, generando un significativo sovraccarico di tutto l'organo fonatorio. La respirazione toracica crea inoltre tensione alle spalle e ai muscoli del collo, perché si mette in tensione tutta la parte superiore del busto e della cervicale. La respirazione diaframmatica è una respirazione che percorre un tragitto più lungo e naturale, per questo aiuta a rilassare, rallentando anche il battito cardiaco. In diverse pratiche appartenenti per lo più al mondo orientale (che vanno dallo lo Shiatsu al Tai Chi e discipline affini), viene utilizzata eminentemente la respirazione diaframmatica. Come si è venuto a creare storicamente questo abbandono della respirazione completa? Una delle ipotesi che è possibile avanzare, almeno per quanto riguarda l'Italia, è la tipologia di esercizi ginnici tipici del periodo fascista, che erano basati su una postura assai rigida, con la pancia in dentro e il petto in fuori; in questo modo è possibile respirare solo con la zona toracica. Questo tipo di postura rigida era ideologicamente il simbolo della forza e della presenza, anche se questo comportava un malessere fisico perché impediva una respirazione completa ed equilibrata. Molte persone non sono informate e consapevoli di come e quanto, i sistemi emozionali condizionino i rapporti interpersonali. Normalmente si pensa che basti dire le cose per cui queste verranno intese. Purtroppo non è affatto così. La comunicazione verbale, se non è sostenuta da un buon tono della voce e da una buona assertività, non produce gli effetti desiderati. In questo quadro stiamo quindi riflettendo su come le emozioni primarie condizionano attivamente i segnali meta-comunicativi che emettiamo. Le persone intorno a noi li ricevono e rimandano/rispondono per come sono state così condizionate.

 

Caso esempio:

 

Coloro che nella vita sono tesi o ansiosi e stanno frequentemente in apnea, quando scoprono la respirazione diaframmatica, spesso hanno delle sensazioni di torpore agli arti inferiori, per effetto del livello di iper-ossigenazione che in questa nuova postura respiratoria hanno raggiunto. Anni fa, una donna di circa trent'anni, di nome F., che frequentava il percorso per il Public Speaking. Era nella fase delle attività in cui si affronta la parte sulla corporeità. Durante lo studio della respirazione diaframmatica, F., a un certo punto, dopo che aveva iniziato a ossigenarsi in modo adeguato, mi ha chiamato vicino a sé e mi ha detto, con un sorriso rilassato, che si sentiva molto leggera. In un secondo momento, continuando ad avere una respirazione diaframmatica, per lei insolita, mi ha detto che sentiva le gambe intorpidite quasi elettrificate. In quell'occasione naturalmente non mi preoccupai perché è una reazione fisica prevista ed è abituale per me riscontrare nei miei utenti sensazioni di questo tipo durante questi esercizi. Questo accade a chi è sempre in apnea o con una “respirazione corta” e ansiosa e l'ossigenarsi è un'esperienza nuova che fa reagire il corpo e i muscoli in modo differente. Racconto un aneddoto divertente riguardante questa mia utente: dopo qualche tempo è venuta raggiante da me e mi ha annunciato che era in dolce attesa, ammettendo che il concepimento fosse avvenuto proprio la sera stessa in seguito alla lezione sulla respirazione. A seguito di questa riscoperta della fisicità, F. era riuscita ad agire una rinnovata spontaneità nella relazionalità con il proprio compagno.   

 

 

 

 

La voce

 

Con una respirazione diaframmatica corretta è possibile imparare a gestire il timbro e il tono della voce, a seconda delle esigenze comunicative in cui si trova l'individuo, che può imparare ad apprendere quanto effettivamente riesca a espandersi, a livello di tonalità, il proprio strumento vocale. Le tonalità sono principalmente tre: tonalità di testa (escursione tonale alta), tonalità di maschera (escursione tonale media) e tonalità di petto (escursione tonale bassa). Utilizzando in maniera consapevole tutte e tre queste modalità tonali, è possibile creare empatia o disagio e persino repulsione nei confronti del proprio interlocutore. Anche se tutti siamo in grado, con un adeguato esercizio, di utilizzare tutte queste modalità tonali, inconsapevolmente ne privilegiamo una, sottovalutando l'ampiezza dell'escursione della propria voce e la sua capacità espressiva e persuasiva. Nella normale percezione comune, siamo abituati a riconoscere il diverso valore espressivo della voce quando questa viene usata nel canto, diversamente durante il parlato, non è consueto utilizzare questa diversa gamma di escursioni tonali come strumento comunicativo. Non solo noi stessi ci percepiamo con un determinato timbro di voce, ma anche gli altri ci associano a una determinata tipologia sonorità vocale. Spesso, senza accorgercene, molte persone, specialmente noi donne, adottiamo un timbro vocale alto, di testa che è abbastanza fastidioso; è possibile quindi, senza modificare la propria personale sonorità, trovare una tonalità più calda e accogliente, appartenente comunque alla nostra conformazione vocale, ma che risulti più piacevole ed empatica all'ascolto e quindi migliore nella comunicazione. La voce, se gestita consapevolmente, consente all'individuo di direzionare, con il solo timbro vocale, lo stato emotivo dell'altro. Per esempio, adottando una tonalità di maschera (escursione tonale media) si tiene in uno stato di attenzione colui che ci ascolta, con una tonalità di petto (escursione tonale bassa) si può indurre rilassamento e agio per la profondità, mentre con una tonalità di testa (escursione tonale alta) si può addirittura tenere la persona con cui ci si relaziona in un vero e proprio stato di allarme. In pratica la conoscenza approfondita e consapevole del proprio strumento vocale permette la gestione della timbrica a seconda della situazione e degli obiettivi in cui ci si trova in un determinato momento.  Similmente alla gestione della respirazione, un soggetto in apprensione, oltre ad alterare inconsapevolmente la postura e la respirazione, altera anche l'emissione della voce. Anche da questa prospettiva ci troviamo a osservare che nel quadro metacomunicativo, l' emozionalità primaria condiziona marcatamente gli effetti di relazione sugli altri. Se la mia voce è debole, l'espressività è incerta, come posso pensare che ciò che comunico venga ascoltato e considerato con valore?   

 

Caso esempio:

 

In questo esempio prendiamo una donna di circa quarant'anni, che chiameremo V., che aveva una particolare caratteristica nella voce: il suo tono era velato come se non riuscisse a vocalizzare in modo pieno. Questa continua raucedine era una forma di disfonia (dal greco “dys”, che significa sia “difficile” sia “cattivo” e “foné”, che significa “voce”). Dopo l'abituale allenamento vocale durante corso di Dizione, ho constatato che negli esercizi in cui si facevano dei vocalizzi, nei quali doveva usare una respirazione diaframmatica, la sua voce “usciva” forte e tonica. Abbiamo capito insieme che le cause di questa sua disfonia non erano patologiche (confermato anche da diverse analisi mediche) ma psicologiche e soprattutto posturali. Una volta comprese le sue potenzialità di sonorizzazione, V. ha cercato di utilizzare le tecniche respiratorie quotidianamente, migliorando molto la sua comunicazione vocale/verbale ed ottenendo più considerazione nelle sue relazioni di lavoro.

 

 

 

Le intenzioni nella comunicazione

 

Ogni azione ha uno scopo, anche quando non ne identifichiamo la natura. Uno sguardo o un gesto, nascono sempre e comunque da un bisogno e/o da una verifica della relazione in atto; questa parte della metacomunicazione esprime, oltre a contenuti di sottolineatura del discorso, anche intenzioni di altra natura, ossia comunicati a volte anche complessi che esprimono la nostra reale posizione rispetto a quanto stiamo esponendo. Come abbiamo capito, siamo sempre nell'ambito dove le dinamiche emotive primarie condizionano il nostro assetto e la comunicazione inconsapevole. L'intenzionalità espressiva accompagna la comunicazione verbale e ne determina l'effetto su chi riceve i messaggi. Da questa enorme massa di fattori si ricava, per esempio, se una persona è sincera oppure no, si intuisce anticipatamente dove vuole arrivare col discorso, si diviene in grado di inquadrare ad un livello molto ampio la catena di contenuti espressi a parole. Ma la comunicazione accompagnata dalla sottostante intenzione, non sempre è coerente ed allineata e si verifica una frattura che scompone e frammenta il messaggio comunicativo inviato a chi ascolta. Accade quindi, per esempio, che l'individuo affermi una cosa ma con l'atteggiamento corporeo, contrariamente, chieda conferma di quanto affermato. In questo esempio l'individuo adotta una volontà affermativa ma, contemporaneamente, comunica la sua subordinazione al giudizio di chi ascolta. In altre parole, abbiamo il verificarsi di due fenomeni contraddittori, l'affermazione e la richiesta di consenso. Comprendiamo quindi che l'affermazione e la richiesta di consenso hanno scopi e intenzioni diverse in cui non necessariamente sono contraddittori o a sostegno, bensì l'affermazione esprime un'idea cognitiva in una modalità valida e accettata, mentre l'intenzione espressa nella meta-comunicazione esprime il proprio dubbio e un atteggiamento di condivisione, con un altro scopo. La meta-comunicazione è un risvolto di intenzioni non coerenti con il comunicato verbale, con lo scopo di andare oltre il mero comunicato stesso e sviluppare relazionalità (fiducia, conferma, empatia, seduzione, e così via). La relazionalità quindi si sviluppa e si struttura sulla base di due livelli autonomi e indipendenti: quello verbale cognitivo e quello non verbale dell'intenzione.  

 

Casi ed esempi:

 

I.

Prendiamo come esempio un ragazzo di circa vent'anni, che chiameremo O., con degli aspetti critici da riconoscere a livello comunicativo e comportamentale. Durante una lezione lo faccio salire sul palcoscenico per eseguire un esercizio legato alla simulazione delle emozioni. Chiedo a O. di simulare uno stato emotivo grintoso e aggressivo e lui concentra la sua reazione in un'emissione vocale, che altro non è che un urlo potente e monotono. Lo sguardo e il corpo, però, non esprimevano alcuna forma e forza di aggressività, in quanto ha indietreggiato durante l'urlo e il suo viso era apatico. Possiamo quindi vedere come O. non fosse in contatto diretto con la sua emozione; infatti, egli ha espresso uno sdoppiamento tra la parte verbale e cognitiva e quella non verbale. Questa distanza che O. frapponeva tra sé e le sue emozioni era sintomo di una paura di percepirsi in quella situazione, con quel particolare atteggiamento e con le reazioni corporee conseguenti.

 

II.

In questo esempio vediamo una situazione analoga ma opposta che ho riscontrato con un altro utente nello stesso tipo di esercizio. In questo caso il sentimento che ho chiesto di simulare era l'accoglienza, ossia un atteggiamento di disponibilità e dolcezza, come l'invito a entrare nella propria dimora nei confronti di un ospite gradito. Anche questa volta, il tono di voce della ragazza era impostato in modo pacato e cortese, ma lo sguardo era duro e severo. Che significato ha questo sdoppiamento? La ragazza faceva esattamente come O., cercava di difendersi da uno stato emotivo per lei inusuale e che la metteva a disagio.

 

La gestualità e gesticolazione

 

La gestualità è un coadiuvante meta-comunicativo nel trasmettere un messaggio; prestare attenzione alla propria gestualità ci porta a comprendere un ulteriore livello comunicativo del proprio corpo, più vicino alla spontaneità che alla razionalità, ampliando le nostre capacità di consapevolezza e gestione dei segnali che lanciamo a chi ci sta intorno. Al fine di chiarire in modo esplicativo come l'area della gestualità, molto più di altre, abbia una matrice fortemente inconsapevole, riporterò direttamente alcuni esempi.

 

Caso esempio:

 

Un conferenziere si doveva allenare al fine di migliorarsi per delle importanti esposizioni in pubblico parlando di temi bancari e finanziari. Dopo aver superato uno stato ansiogeno che lo portava a non respirare e a parlare esageratamente veloce, notò di avere ancora un'abitudine nel segmentare le parole durante l'esposizione, creando un ritmo “a singhiozzo” difficile da seguire per il pubblico. Per risolvere questo aspetto, gli proposi di segnare su una lavagna una linea curva per tutta la durata del periodo parlato; questa semplice combinazione con il gesto già riuscì a farlo parlare in modo continuativo e non intervallato. In seconda battuta gli ho suggerito, una volta salito sul palco, di disegnare un cerchio con le braccia in aria, in modo da creare un gesto uniforme e omogeneo durante l'esposizione della frase. Questo esercizio ha migliorato la sua esposizione e il suo ritmo, perché lo aiutava a distrarsi dal contenuto da esprimere, dalla sua ipercriticità e dall'ansia da performance. Questo continuo contatto con il suo corpo lo ha portato inoltre a respirare correttamente mentre portava a termine il suo gesto. L'ultimo passaggio è stato quello di immaginare di compiere il gesto nella propria mente e non più di farlo realmente; questo lo ha portato a risolvere la sua abitudine ansiogena, a memorizzare e infine a somatizzare psicofisicamente il ritmo giusto e l'equilibrio dell'energia attraverso la parola. Il motivo per cui l'allievo continuava a segmentare la frase era perché era alla continua ricerca della parola giusta e accattivante; questo però non gli permetteva di concentrarsi sulla comunicazione, separandosi dal suo pubblico. Da questo punto di vista, possiamo azzardare una sorta di parallelo tra il comunicatore e l'attore: ciò che recita nelle battute sono parole, ma ciò che trasmette la potenza della scena è la parte espressiva trasmessa dalla gestualità espressiva. Nel momento in cui l'attore focalizza la sua concentrazione solo nell'abilità mnemonica di ripetere la battuta, non sarà in grado di entrare in comunicazione emotiva con il pubblico, il quale a sua volta percepirà la sua performance come fredda e artificiale. E' una diffusa consuetudine pensare che il valore di ciò che diciamo è costituito dalle parole scelte o dai concetti enunciati, e spesso, per questo presupposto le persone entrano in uno stato di apprensione con la volontà di parlare bene, di esprimere al meglio le cose con parole giuste, per dirla in parole povere, entrano in uno stato di performance. Questo stato purtroppo distorce l'equilibrio interiore e porta la persona a peggiorare la sua capacità di comunicare. L'apprensione determina la difficoltà ad avere una sintassi corretta, difficoltà di trovare le parole giuste, inceppamenti vari, aritmia del discorso e molti altri segnali di scomposizione. Anche in questo contesto l'emozionalità guida la spontaneità dell'espressione corporea e gesticolare. In pratica, un individuo in uno stato ansioso, nella propria meta-comunicazione, non potrà evitare di trasmettere il proprio stato d'animo, il quale verrà subito assorbito e captato dagli interlocutori, che, avvertendone la sofferenza, percepiranno un personale disagio. La gestualità è essenziale per incanalare l'energia che sta alla base di un'intenzione, ed è quella parte di comunicazione non verbale che esprime la spontaneità e la soddisfazione del comunicatore, per cui non va inibita. L'individuo in stato di performance, invece, tende a esasperare il valore dei fattori della propria attività, identificando nelle componenti del suo comportamento valori spesso drammatizzati, capaci di minare l'efficacia della comunicazione e generare reazioni anche avverse alla sua intenzione.

 

Microgesti e macrogesti

 

La gestualità è una delle importanti componenti espressive della comunicazione. Ogni gesto contiene una certa energia che si esprime e che viene interpretata da chi ascolta o da chi la percepisce. L'energia contenuta in un gesto trascende dal gesto fisico stesso; chi percepisce tale energia la coglie non tanto dal singolo gesto ma in un quadro più articolato composto di diversi segnali corporei coerenti. Questi segnali sono un bagaglio largamente condiviso nella collettività e, per questa ragione, sono capaci di essere importanti nella comunicazione. Alcune gestualità possono essere estese, altre più contenute, ma, nel quadro di insieme, possiamo formulare una specie di misurazione basata sull'intensità comunicativa piuttosto che sull'ampiezza “centimetrica” del gesto. L'intensità si genera  quando si condensano diversi fattori di intenzione intorno al gesto corporeo. In questo inquadramento, che vede il gesto come portatore di altre cose, negli anni ho sviluppato e messo a punto una gamma di esercizi che sfrutta l'esasperazione della gestualità per prendere coscienza del valore comunicativo dell'intenzione e della sua traduzione fisica in gesto. In questi esercizi quindi abbiamo il generarsi di macro-gesti e micro-gesti che si adottano per comprendere ed allenarsi nel concentrare ed esprimere una certa intensità espressiva gestuale. In questi estremi, l'individuo apprende la strumentalità di far confluire e dosare una certa quantità di forza comunicativa in un gesto, a prescindere che questo sia ampio o ristretto. In quest'attività ho identificato che abbiamo bisogno della stessa energia e dello stesso sforzo per compiere un gesto, che sia minuscolo o macroscopico.

 

Nel processo comunicativo, è necessario allenarsi nel gestire con consapevolezza entrambe queste tipologie di gestualità, in modo da dosare nell'esposizione la comunicazione emotiva del gesto, se è più consono che sia estroverso oppure più moderato, comunque con la stessa intensità. Quando in un individuo si configura uno stato di inadeguatezza, egli tenderà inconsapevolmente, come abbiamo visto, a ostentare comportamenti che, secondo il suo punto di vista, sono adeguati e valorizzati. Questa compensazione che egli attua diviene una sequela di azioni prive di coerenza espressiva e strutturate con un intento subordinato alla paura. Esse assumono quindi il valore comunicativo non autentico e artificiale che non collabora con le intenzioni espressive che l'individuo vorrebbe trasmettere. Abbiamo il generarsi della gestualità con gli estremi del “troppo” e del “poco” (sia che si esageri, sia che si sia minimali e in imbarazzo), esprimendo, più che un'intensità e un valore comunicativo, uno stato di sofferenza, a volte ansiosa, che affatica sia il comunicatore sia il pubblico, nel quadro di uno scambio comunicativo ed espressivo basato sul disagio.

 

Lo sguardo

 

Il grado di tensione emotiva si manifesta principalmente nella tensione dei muscoli facciali e della fascia oculare (occhi e sopracciglia). Senza entrare nei dettagli della semantica delle espressività facciali, sulle quali molto è stato scritto, possiamo riportare alcuni esempi giustapposti per comprendere il valore espressivo contingente, distinguendolo dalla nomenclatura dei singoli dettagli collocandoli in un quadro metacomunicativo generale. Per esempio, gli occhi sbarrati e le sopracciglia sollevate manifestano un grado di paura e uno stato di fragilità/allarme, mentre gli occhi stretti e le sopracciglia contratte manifestano, oltre a un grado di paura, una forte dose di criticità e re-azione/opposizione. Questi segnali vanno considerati nella direzione di aprire una finestra sulle dinamiche relazionali ed emotive che li producono e l'effetto che inducono. L'emergere di questi fattori ci dà la possibilità di comprendere e cogliere le emozioni attive della persona e i suoi bisogni, che non sono inquadrabili singolarmente su ogni segnale, ma vanno integrati nella meta-comunicazione generale dell'individuo.

 

Caso esempio:

 

Un mio utente, che chiameremo C., di mezz'età, che ha frequentato il corso di recitazione. C., nei vari allenamenti che comprendevano anche l'improvvisazione recitativa, manifestava innanzitutto un'insicurezza che dichiarava nell'interagire con gli altri. In assenza dell'ausilio di un copione che identificasse in maniera rigida il personaggio, i suoi dialoghi e le note di regia erano distaccate e assenti. In secondo luogo, C. compensava questa sua sfiducia con  un'espressività del viso esagerata e grottesca. Infatti C., non riteneva possibile che la sua naturalità espressiva potesse essere efficacemente comunicativa, per lui non era sufficiente essere spontanei: per questo caricava ogni sua espressione attraverso un uso improprio delle sopracciglia, delle labbra e dei muscoli facciali in generale. Non aveva un reale controllo della sua espressività e ancor meno la percepiva. Ovviamente acquisiva la percezione di questa comunicazione caricaturale solo nel momento in cui si rivedeva in video.  

 

Fenomeni ansiosi

 

I sintomi corporei dell'ansia sono: l'apnea respiratoria, l'ipercineticità (ossia non riuscire a stare fermi con le gambe o con le mani), tic nervosi di ogni tipo, lo schiarirsi la voce molto spesso, il balbettio, o tipologie di comunicazione eccessivamente infantili o seduttive (quest'ultimo aspetto riguarda soprattutto le donne, se si escludono gli uomini che continuano a sorridere per imbarazzo anche quando non è appropriato) e la difficoltà a concludere le frasi. Purtroppo, raramente l'individuo si rende conto di vivere alcuni di questi sintomi; addirittura, spesso sono compresenti. Per modificare questi assetti bisogna anzitutto condurre delicatamente la persona alla loro scoperta e presa di coscienza. Come sappiamo, non basta spiegarlo; quando una persona è sotto pressione non riesce effettivamente a cogliere i propri segnali e reazioni fisiche. Mediamente, si da per scontato che l'individuo sia consapevole della propria respirazione o della propria tensione muscolare, ma frequentemente non è così. Ci troviamo di fronte a un sistema nel quale il modello emozionale attiva preventivamente forti dinamiche della paura, che proietta come senso di inadeguatezza e attiva l'ansia. Questa alimenta e induce l'inefficienza delle proprie azioni che la persona percepisce e soffre. Il sistema proiettivo produce quindi un loop apprensivo, che spesso genera l'apnea bloccando l'ossigenazione, la comunicazione gestuale, la qualità tonale della voce, e così via. In qualche modo, possiamo inquadrare la risposta fisica alle emozioni come un sistema che ha una sua propria autonomia.

 

Caso esempio:

 

In questo esempio mostrerò come l'ansia di non essere adeguati può condurre a un isolamento privo di comunicazione e a un atteggiamento difensivo “cieco”, che si realizza con un'aggressività agita. G. è una donna di circa trentacinque anni che decide di iscriversi a un corso creativo, in particolare a quello di doppiaggio; sceglie il percorso in coppia e la affianco a un mio allievo, che chiameremo L., un uomo di circa la stessa età. Fin dalle prime lezioni G. cercava di monopolizzare la mia attenzione manifestandomi la sua continua ansia di sbagliare e l'urgenza “oggettiva” di correggere i suoi difetti, privilegiando argomenti specifici solo per lei, senza tenere in alcun conto le volontà e le esigenze del suo compagno di corso. La sua ansia da performance l'aveva portata a mantenere un livello di competizione costante con L., nonostante egli fosse paziente e avesse accettato senza alcun problema il fatto che io avessi assecondato, almeno inizialmente, le sue richieste. All'ennesima sua richiesta di attenzione iperbolica ho deciso di darle un segnale chiaro e le ho chiesto in modo molto fermo se aveva intenzione di lasciarmi lavorare. La reazione di G. è stata di stupore: non si rendeva conto della sua continua emanazione di segnali aggressivi; anzi, si è creduta vittima di una situazione che lei stessa aveva creato. In seguito, ho avuto un colloquio personale con lei per cercare di farle notare che il suo atteggiamento metteva in difficoltà il suo compagno di corso e che risultava del tutto improduttivo, per lei, non avere consapevolezza dei propri segnali comunicativi, ma ha ulteriormente drammatizzato la propria “ansia aggressiva” tentando più volte di interrompere la comunicazione.

 

Postura e modo di camminare

 

Queste due componenti funzionali alla nostra autonomia, hanno alcuni aspetti interessanti che rientrano nel quadro della comunicazione. Il corpo rappresenta la macchina generale nella quale l'attività proiettiva esprime in modo generico l'atteggiamento che la persona adotta verso la propria vita. Il camminare rappresenta la componente espressiva che simbolizza la autonomia nella capacità di procedere nella vita. La persona trasmette e comunica, attraverso l'incedere, oltre allo stato d'animo, anche importanti segnali che riguardano la propria capacità plastica di adattarsi agli eventi della vita, di essere proattiva e/o rigida. La camminata può dire molto sulla personalità e il carattere. Sia per quanto riguarda la postura del corpo, sia per quanto riguarda il modo di camminare l'individuo esprime il 'come' gestisce lo spazio, con le sue distanze e misure. In pratica esprime l'espressività del proprio sentirsi a proprio agio o meno in ogni situazione. Durante l'esposizione di un intervento nel parlare in pubblico, ad esempio, camminare verso le persone, arretrare o spostarsi lateralmente implica un particolare modo di esprimersi, e, in alcuni casi, è anche una modalità di esercizio del potere. Una postura corretta, che scaturisce da una buona consapevolezza di sé, facilita la respirazione diaframmatica; è quindi consigliabile una postura eretta con il plesso solare aperto. In tal modo, il busto stesso è in una posizione energica, comunicando uno stato di sicurezza e stabilità. È importante percepire e concentrarsi sul proprio baricentro, ossia sul centro di equilibrio fisico; una  posizione che suggerisco sovente è quella di mettere un piede avanti, postura che comunica sicurezza ma che permette anche di reagire velocemente se è necessario esprimere una certa dose di aggressività. Poggiarsi invece sul fianco può essere frainteso come atteggiamento seduttivo o addirittura di sfida. Anche l'inclinazione della testa è un fattore fondamentale della propria espressione: istintivamente, si tende a tenere il mento in una posizione diversa da quella frontale: alzato (che comunica un atteggiamento provocatorio), abbassato (aggressività) o laterale (seduttivo); c'è poi, addirittura, chi evita di guardare verso il pubblico o verso il proprio interlocutore, in una modalità di fuga e di difesa. Anche tutte queste “posture”, una volta che gli utenti si rivedono in video, diminuiscono o addirittura spariscono, in quanto sono esternazioni di un determinato stato d'animo ansioso, che piano piano viene a sfumare e si trasforma in una certa dose di sicurezza e presenza.

 

 

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